“La carta della terra”, mostra-incontro voluta dall’artista Peppe Pappa, è in questi giorni al PAN – il palazzo delle arti di Napoli – e vedrà il suo finissage domenica 17 Marzo.
Se arrivasse l’apocalisse, cosa resterebbe dell’umanità? E se l’umanità non riesce ad avere più un volto umano, non è questa un’apocalisse?
La mostra è alla sua quarta edizione ed ogni anno ha come argomento lo stato di conservazione del pianeta, ma, se la visione che emergeva da questi incontri negli anni passati era rivolta al futuro ed era innegabilmente letta in chiave ecologista, se la domande che sorgevano riguardavano lo sfruttamento delle risorse, del pianeta e la perdita di equilibrio, quest’anno le cose sono decisamente cambiate – le proiezioni dei prossimi vent’anni ci mostrano ormai un futuro chiaramente nefasto. “Quello che era la fantascienza per il passato sono nella nostra imminenza ed immanenza.”, ci dice Antonio Barbagallo, uno degli artisti che partecipa alla mostra. In questo scenario apocalittico, “cosa possono fare gli artisti? Possono dare qualche spunto di discussione.” “La carta della terra” si vuole allontanare da una lettura ecologica perché i suoi artisti credono che, anche se fossimo tutti virtuosi da quel punto di vista, anche se è importante parlare anche di ecologia, questo non basta se il sistema è malato: “Il sistema ci insegna che il benessere è direttamente proporzionale al consumo: più consumi e più sei felice. Noi dobbiamo approcciare il problema dal punto di vista filosofico: quale è il modo migliore per porsi nei confronti del pianeta e delle relazioni umane e quindi qual è il nostro vero benessere.”. Sei artisti provano a chiedersi cosa sia sopravvissuto dell’uomo in quest’epoca fluida ed insicura, depauperata di ogni ricchezza materiale ed astratta, un’epoca di sterile stallo. La mostra si muove in tre spazi, i quali ospitano ciascuna i lavori di due artisti: Peppe Pappa ed Antonio Barbagallo, Ilia Tufano e Anna Pozzuoli, Andrea Colaianni e Livio Marino Atellano. Peppe Pappa sottolinea come lui stesso abbia tenuto a mantenere i “momenti” di queste opere “non separati, ma come momenti di stazionamento, di dialogo con gli artisti”.
PEPPE PAPPA E ANTONIO BARBAGALLO
Il lavoro concettuale di Peppe Pappa, intitolato “Io con me”, subisce il fascino di Salvador Allende, di cui possiamo leggere una lunga citazione su uno dei muri della stanza in cui è contenuta l’opera. E’ costituito da un trittico dove, su sfondo nero, spiccano tre elementi: sul primo, la frase “affrettarsi a morire”; sul secondo una terra priva di vita, grigia come un satellite e senza la minima straccia d’acqua, e sulla terza una poesia dell’autore, un “pronunciamento”, come la definisce lui stesso. “Allende pensava che un gruppo di persone che non era un partito o una società ma solo un blocco economico avrebbe portato problemi alla gente, alla popolazione.” spiega l’autore stesso, riguardo la citazione presente nella stanza. “Affrettarsi a morire, attenzione, non è una resa, ma ricominciare, uscire da questo stallo, cercare la fratellanza di altri uomini per rifondare le coscienze sociali di una democrazia. A me fa paura quando la democrazia è gestita da pochi uomini e sottrae conoscenza alla massa.”. Conoscenza, cultura e democrazia come risorse che dunque si consumano, di cui ci si può appropriare e che possono essere perdute per sempre; ma anche risorse che possono essere coltivate nuovamente in una terra diversa e che possano costruire un mondo diverso, finalmente giusto. “Bisogna smettere di fare del decorativo, perché ormai tutti sono capaci di produrre delle immagini, oggi le tecnologie aiutano, però questa capacità del contemporaneo non deve illuderci di essere capaci di dialogare. Anzi: bisogna stare attenti perché banalizza il dialogo. L’arte non deve diventare una pratica, chi la produce deve produrre un messaggio e chiedersi questo quale finalità abbia.”
Il lavoro di Antonio Barbagallo, “Lunario del tempo a venire”, è un lavoro sul recupero di oggetti “anche persi, dimenticati, insignificanti”, come ci racconta lo stesso artista, “che però sono le tracce del lavoro degli umani”. Su delle piccole mensole vediamo degli oggetti: piante, lance e vasetti. Attraverso gli utensili e le spezie vengono rappresentati l’acqua, la terra, il fuoco. Tutto ciò che è stato ricchezza per l’uomo è tramutato dallo stesso in dinamismo attraverso i commerci e gli scambi, ed oggi che le nostre risorse diventano sempre più scarse è necessario comprendere tali dinamiche che sono state e ancora sono spesso predatorie, che rompono gli equilibri. Le piante presenti nell’opera sono cresciute durante la mostra: i semi sono stati piantati al suo inizio. Tutto è dinamismo, tutto è crescita: la risorsa che dobbiamo conservare, la risorsa che non dobbiamo perdere o di cui ci dobbiamo riappropriare è la comprensione di questo movimento.
ILIA TUFANO E ANNA POZZUOLI
Ilia Tufano è un’operatrice culturale che gestisce a Napoli uno spazio chiamato “Movimento Aperto”, che ha sede a via Duomo. L’opera che propone al pubblico porta il nome di “Catastrofe imminente” ed è essenziale ed elegante, costituita da quattro dischi di pietra, che rappresentano la Terra, su tre dei quali sono incise delle parole: cenere, fuoco, terra. Se continueremo a consumare le nostre risorse, se consumeremo la terra, rimarrà solo cenere – solo un disco vuoto, privo di vita e senza nessuno che possa leggervi alcun significato, proprio come il quarto disco che conclude l’installazione, l’unico che non porta su di sé alcuna parola e che troviamo poggiato in un angolo, dimenticato e simile ad un asteroide. Per evitare questo triste epilogo dobbiamo necessariamente ascoltarci – finchè ci sarà possibile – e cambiare la nostra vita.
Il lavoro di Anna Pozzuoli è invece vistoso e colorato, gioiosamente e piacevolmente chiassoso. Anna Pozzuoli lavora nel campo dell’educazione, e il suo intento è quello di informare e formare le future generazioni riguardo queste tematiche. La sua opera non a caso si chiama “Children and hearth card”, ed è costituito da un quadrato di metallo intorno a cui danzano le forme umanoidi e colorate che rappresentano le generazioni future. “E lì [nelle generazioni future, ndr] che se pianti un seme sboccerà qualcosa.”, commenta il collega Antonio Barbagallo.
ANDREA COLAIANNI E LIVIO MARINO ATELLANO
Andrea Colaianni si definisce come “un passatore”- termine antico che indicava coloro che giravano di villaggio in villaggio raccontando storie e cronache, e difatti la sua opera, fuori qualsiasi schema, si chiama “L’artista è un passatore”. E’ la prima volta che entra in uno spazio di galleria – non ha portato un opera ma un collage dei suoi interventi, delle sue installazioni su tematiche riguardante il sociale ed il territorio. E’ un artista itinerante che pensa che l’arte possa consistere nella relazione tra autore ed ambiente, tra l’arte stessa e coloro che vivono gli spazi.
Livio Marino Atellano chiude la mostra con un’opera che prende tutta la parete, un’opera che lascia quasi senza fiato e che comunica un silenzio assordante. Dal titolo “Quinto stato”, ci mostra delle cornici – rivestite di fotografie e fogli di giornale – che contengono al loro interno delle figure umane o frammenti delle stesse che hanno una sola cosa in comune: alzano le mani in segno di resa. Ognuno di loro si è rassegnato alla propria situazione e si è rinchiuso nella propria teca – non una folla, non una moltitudine, ma un insieme di singolarità, di individui soli ed isolati. Monadi, esseri fermi nel proprio elemento chiuso ed impossibilitate alla comunicazione. La perdita dell’abitudine ad incontrarsi è mortificante, l’impossibilità di comunicare e di possedere una comunità in cui aiutare ed essere aiutati è forse la perdita della risorsa più preziosa dell’uomo, più di qualsiasi metallo o spezia.
La mostra-incontro “La carta della Terra” è una mostra diversa da tutte le altre, a suo modo dinamica come il messaggio che vuole trasmettere: le opere che la compongono dialogano tra loro, per assonanza o contrasto, e interagiscono anche con il visitatore, che guardandole scopre e rivede parti di sé e del mondo che lo circonda, parlando delle risorse della Terra e del nostro rapporto col pianeta in una maniera del tutto inedita – cruda ma mai priva di speranza. Il finissage ci sarà domenica 17 Marzo dalle ore 09,30 alle 14,00, presso il Palazzo delle Arti (PAN) di Napoli.