venerdì, Novembre 22, 2024
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Identità e contraddizioni umane all’EPOCHÉ club art Napoli

Di Martina Orecchio- Luci soffuse, disegni a sfondo introspettivo e molto altro, hanno reso l’evento ospitato da EPOCHÉ club art Napoli, una piacevole riscoperta di sé stessi e del mondo che ci circonda.

Scopo principale di questo incontro, e dei prossimi a venire, è stato semplicemente porsi delle domande per trovare risposte a dubbi che ognuno si pone almeno una volta nella vita. Tematica portante dell’incontro, avvenuto il 23 Marzo, è stata l’identità.

Per comprendere cosa realmente fosse l’identità dell’uomo, si è partiti dall’antica grecia per poi passare al periodo dell’industrializzazione e dell’ascesa borghese e arrivare infine ad immaginare un futuro distopico in cui le macchine eguagliano l’essere umano.

L’HUMANITAS DEI GRECI ANTICHI

È il dialogo tra Ettore, nemico d’Achille, e sua moglie Andromaca ad aprire il discorso dell’identità, la quale cambia costantemente nel corso dei secoli.I ruoli sociali erano ben definiti a quel tempo e le persone conoscevano il loro scopo o non si ponevano domande esistenziali visto che ciascuno si ritrovava a far parte di una grande rete sociale, guidata da divinità onnipotenti; gli stessi dèi a cui greci e romani si affidavano completamente, un po’ come fanno i figli con le madri.

IL FASCINO DISCRETO DELLA BORGHESIA

Proseguendo su una immaginaria linea temporale, l’evento che sconvolse l’ordine delle cose fu la Rivoluzione francese del 1789. Il potere delle società occidentali si era da sempre basato sulla classe oligarchica aristocratica, la quale instaurava una sorta di ingiusto equilibrio tra forti e deboli. Con l’avvento della forza razionale borghese tutto è rimesso in discussione e chiunque può aspirare al massimo. L’eccessiva razionalità e la possibilità di essere migliore degli altri renderà però il “borghese” un uomo solitario, individualista e nichilista, che non ha fede in nulla se non per i soldi

LABIRINTO PESSOANO

Autore trattato e che tratta della fragilità e al tempo stesso dell’avidità umana del periodo è Fernando Pessoa. Poeta portoghese, Pessoa è un artista fuori dalle righe ed è il primo a smascherare realmente i “limiti” della borghesia. Secondo lui l’uomo vive e sa di esistere, ma non sa realmente cosa accade attorno e il tutto è dovuto al pensiero,che limita i sensi dell’uomo allontanandolo da sé stesso e dalla realtà. Ciò che noi siamo e che possediamo è un labirinto,nel quale la nostra identità si perde con una facilità disarmante.

IDENTITÀ E FOTOGRAFIA                                                       

La fotografia permette di guardare ciò che siamo e ciò che facciamo vedere alle persone ogni giorno. Ognuno è diverso dall’altro, e questo è ovvio; ma non è mai capitato di provare un lieve disagio nel vedere una foto in cui ci siamo noi o qualcuno a noi caro? Talvolta appariamo irriconoscibili e specialmente quando ci mettiamo in posa. Attraverso una foto, il fotografo oggettivizza il soggetto (noi),e l’essenza della persona sfugge; è possibile ritrovarla solo dopo aver superato l’impercettibile dove,dopo tutte le illusioni e gli elementi artificiali, resta solo l’ombra.

DISTINZIONE TRA MACCHINA E UOMO

Siamo arrivati quasi alla fine del viaggio e ci troviamo nell’epoca di fine ‘800, dove riuscire a distinguere un umano dalle macchine è sempre più difficile. Caratteristiche imprescindibili del borghese medio sono: rapidità, pragmatismo e forse anche schizofrenia. È possibile pensare che questi attributi siano segno di uno sviluppo dell’uomo e delle innumerevoli tecniche industriali sviluppate; ma non lo è, ed il motivo è lo stesso che terrorizza coloro che credono in una ribellione delle macchine da noi create. Ció che distingue l’uomo dalle macchine è paradossalmente il superfluo o anche l’eccedenza che rende le persone “difettose”. Valore analogo ha l’assenza, che riempie le giornate dell’uomo in attesa di una presenza forse inesistente. Anche se l’attesa,il superfluo e l’assenza sembrano essere termini negativi, riescono a rendere quindi l’uomo tale.

ANDROIDI IN UN FUTURO DISTOPICO

Cosa rende una persona umana?
Le emozioni, la coscienza, l’essere diversi gli uni dagli altri. E se queste cose potessero appartenere anche alle macchine? É questo il tema trattato nel 1968 da Philip K.Dick nel suo romanzo “Do Androids dream of Electric Sheep” e che ha aperto un dibattito tutt’oggi molto sentito dall’opinione pubblica. L’intelligenza artificiale riconosce ormai come nel libro di fantascienza di Dick, le emozioni, le movenze e le azioni umane diventando quasi empatica nei confronti di un individuo. I processi cibernetici sono anche in grado di apprendere attraverso l’esperienza e di comportarsi in maniera differente in caso di imprevisto. Fortunatamente due cose sono ancora impossibili da riprodurre: la creatività e il pensiero. Nel momento in cui le macchine riprodurranno anche solo una di queste due cose, smetteranno di simulare o di eseguire ordini, e supereranno la complessità della mente umana. Ció che quindi mette in crisi l’essere umano è la simulazione della propria identità e della propria coscienza.

Attraverso un viaggio di 3000 anni, si è cercato di scoprire la vera identità dell’uomo e della somiglianza/unicità che caratterizza ciascuna persona esistente al mondo, in un luogo dimenticato dalla bestialità umana che caratterizza la nostra società odierna: EPOCHÈ Club art Napoli.

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