Napoli e i napoletani sono da sempre abituati ad essere derisi e additati da una parte d’Italia – e per fortuna solo quella.
I vari “lavali col fuoco”, “senti che puzza, scappano anche i cani” e il classico “terroni” si sprecano nei confronti dei napoletani, purtroppo non solo negli stadi.
Eppure nessuno si aspettava che sugli schermi dell’azienda Tiberina di Pomigliano d’Arco comparisse la scritta “Bisogna bruciare tutto: Napoli, tutti i napoletani e i loro rifiuti, perché i napoletani sono un rifiuto del mondo”.
La responsabilità del gesto è stata attribuita al dirigente dell’azienda Dario Liccardo, napoletano di nascita (ha vissuto fino ai 21 anni al Vomero), ma adottato dalla città di Gaeta (che comunque non è Bergamo Alta).
Al giornale “Il Mattino”, Liccardo ha confessato che in realtà la sua è stata la reazione ad una serie di episodi che hanno poi preso la forma di “una cocomerata in mensa, lasciata sporca” e di “distrazioni sui prodotti”.
Il signor Liccardo ha pensato bene di lanciare questa provocazione, un po’ come se una cocomerata lasciata sporca e poca precisione sulla produzione fossero un tratto distintivo del patrimonio genetico dei napoletani piuttosto che colpe di singoli individui.
I lavoratori, ovviamente, hanno deciso di reagire.
Da buoni napoletani nullafacenti, hanno deciso di mettere in atto uno sciopero di un’ora a testa a causa del caldo eccessivo nei reparti.
Già, perché mentre gli uffici del dirigente sono ben muniti di aria condizionata, i reparti ne sono ancora sprovvisti.
Dario Liccardi si è, però, scusato e ha respinto l’accusa di razzismo che gli è stata rivolta (“sono napoletano, ci mancherebbe!”).
Eppure la ferita resta, soprattutto perché inferta da chi dovrebbe capire più di tutti cosa significa dover lottare contro i pregiudizi che pesano sulle spalle di un’intera popolazione.
Le scuse sono bastate per il momento, ma il vero miracolo sarebbe non dover più riportare certe notizie: per questo, però, può aiutarci solo San Gennaro!