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Wimbledon 2019: Semplicemente IL TENNIS

di Luigi Carrara – Djokovic si aggiudica l’edizione 2019 di Wimbledon dopo una finale leggendaria contro Roger Federer.

Ci sono momenti in cui lo sport raggiunge il suo apice nel momento più importante brillando così di una luce accecante capace di fermare il mondo, pronto a sedersi e ammirare cotanta beltà.

Questo è ciò che è accaduto domenica 14 luglio 2019 sul Center Court di Wimbledon, il campo più famoso e prestigioso del mondo, il tempio del Tennis, prestatosi in questo giorno ad uno dei match più belli ed emozionanti che questo sport abbia mai offerto.

La partita più lunga di sempre

I due protagonisti, il campione in carica e numero 1 Novak Djokovic, ed il Re di Wimbledon Roger Federer, ci hanno regalato 4 ore e 57 minuti di puro spettacolo, mostrandoci classe, forza, resistenza, coraggio, resilienza ed ogni possibile qualità si possa avere su di un campo di tennis.

Questa partita, la più lunga finale di sempre, ha visto un solo vincitore, il serbo, ma ha regalato agli amanti del tennis e in generale dello sport uno spettacolo ad un livello impareggiabile, oltre le umane aspettative, un duello che nei prossimi anni ci farà esclamare: ” io quel giorno c’ero”.

L’atmosfera del Center Court è parsa a tratti surreale, si respirava tutta l’elettricità che questo epico duello stava emanando, con due campioni che si sfidavano senza esclusione di colpi, senza mai mollare, senza mai tirarsi indietro, senza mai cedere allo sconforto o all’esaltazione, mostrandosi con tutta la loro classe dall’inizio alla fine, dimostrando un rispetto incredibile per il proprio avversario.

In queste quasi 5 ore abbiamo visto tutta la regalità e classe di colui il quale ha deciso di sfidare gli dei del tempo mostrandosi ancora scintillante li dove più conta seppur con i 38 anni che festeggerà tra venti giorni.

Dall’altro lato abbiamo ammirato la forza, la resistenza e l’inumana freddezza di un giocatore che non pare più poter essere annoverato come essere umano ma piuttosto come un cyborg, capace di andare oltre tutti i limiti che il nostro corpo mortale ci impone.

Per la prima volta nella storia dei Championship un giocatore è stato capace di vincere il titolo dopo aver affrontato match-point a sfavore, riuscendo quindi a risalire quando ormai era sull’orlo del baratro, giungendo così al quinto successo personale, pareggiando la leggende di Borg.

Se Djokovic è riuscito a vedere la morte in faccia e sfuggirle mostrandosi un cyborg, Roger Federer ci ha mostrato un tennis di una bellezza disarmante, con un tasso di rischio enorme, che purtroppo però, ha mostrato, nei momenti chiave, le falle di un giocatore immenso ma pur sempre umano e quindi fallibile.

Il campione elvetico si è detto consapevole di aver sprecato un occasione incredibile, ma al contempo conscio di aver dato tutto ciò che aveva e anche più, dicendo a tutti i più esperti che a 38 anni “non è ancora finita”.

La partita dell’otto volte campione di Wimbledon è stato un trattato d’estetica ed efficacia, giunto ad un solo punto dalla perfezione, sfuggitagli per le tante, troppe, occasioni sprecate.

Il rammarico è ben descrivibile tramite i numeri, che ci mostrano un Federer superiore in tutti gli ambiti più importanti, quali Game fatti, punti, vincenti, tranne, purtroppo per lui, nel punteggio finale.

Un unicum in uno sport come il tennis, dove quasi sempre chi vince ha ottenuto più dell’avversario meritando così il successo, diversamente da stavolta dove la vera differenza l’hanno fatta i momenti chiave, dove un serbo freddissimo ha avuto la meglio del fenomeno di Basilea parso a tratti un pò teso.

Roger Federer è stato tutti noi, un uomo in missione, un qualcuno che con la sua luce voleva disinnescare il tennis robotico e letale dei suoi straordinari rivali, quei Djokovic e Nadal che mai era riuscito a battere uno dopo l’altro, e che questa volta invece sembravano pronti a capitolare sotto i colpi dell’immenso cuore messo in mostra dallo svizzero, che ci ha emozionato e commosso per la generosa testardaggine con cui ci ha provato nonostante tutto quanto abbia già ottenuto in carriera, mostrandoci che se si ama qualcosa c’è sempre un modo per superare i propri limiti.

Rafa Nadal, il numero 2 del mondo è l’altro deluso insieme allo svizzero, arrivato alle semifinali mostrando un tennis di grandissima solidità, sbriciolatosi contro la magica varietà svizzera, capace di porgli troppi problemi da risolvere, dissolvendo così le certezze dell’iberico che appena 2 settimane prima lo aveva sconfitto al Roland Garros.

Se lo spagnolo più famoso si è detto triste, poichè consapevole che non avrà tante chance, di ben altro avviso era l’altro semifinalista iberi, quel sorprendente Bautista Agut arresosi in 4 set al futuro campione serbo.

Il piccolo spagnolo si è reso protagonista di un torneo al di là delle più rosee aspettative, issandosi per la prima volta in carriera fino ad una semifinale slam, dove ha incontrato uno di quei 3 giocatori semplicemente fuori portata per i comuni mortali come lui.

Wimbledon: non solo leggende

Wimbledon però non è stato solo il torneo delle leggende e dei campioni inarrivabili, ma anche dei comuni mortali, come Agut ma anche giocatori ben poco attesi alla seconda settimana come Sousa o Pella, capaci di approfittare al meglio di un erba veramente lenta, dovuta un pò a modifiche strutturali ma soprattutto alle due settimane di sole incessante a Londra, una rarità da quelle parti.

Tra i giocatori approdati alla seconda settimana del più prestigioso dei tornei, vi è anche qualcuno che ha portato avanti i colori azzurri, che escono da questo Wimbledon con delle ottime notizie.

Per la prima volta in carriera infatti, Matteo Berrettini è approdato ad un ottavo slam mostrando tutti i suoi progressi sull’erba, disinnescati, duramente, solo da sua maestà Roger Federer in un rapido match senza storia sul Center Court, che probabilmente ha fatto tremare un pò troppo le gambe del nostro alfiere.

Un passo dietro Matteo si sono invece fermati gli altri nostri due migliori giocatori, Fabbiano, autore di una magistrale prova contro il numero 6 del mondo Tsisipas, fermatosi al terzo turno come Fognini, che contro Sandgreen ha perso partita e testa, lasciandosi andare a frasi non edificanti che gli sono costate una salata multa al termine del torneo.

Nuovo best ranking

Nonostante ciò, il nostro numero 1 può dirsi comunque ampiamente soddisfatto, dato che su una superficie a lui chiaramente indigesta è comunque riuscito ad ottenere quei punti che l’ hanno portato al suo nuovo best ranking di numero 9 del mondo, un traguardo di cui andare profondamente fieri.

Se questo torneo ha mostrato tutta l’immensa classe dei vecchietti, il più giovane semifinalista aveva 31 anni, allo stesso modo ha messo a nudo tutti i limiti della next-gen apparsa ancora lontanissima dal poter dire la sua contro questi mostri sacri che continuano a spartirsi slam dall’US Open 2016, ultimo torneo vinto da qualcuno che non fosse uno dei fab 3, che era però l’attuale 32 enne Wawrinka.

Chi più fragorosamente come Tsisipas al primo turno con il nostro Fabbiano, o come Thiem, chi magari meno evidentemente come Aliassime, Zverev o Khachanov i ragazzi a cui si dovrà affidare il tennis dopo le attuali leggende, hanno mostrato una preoccupante mancanza di continuità e capacità di reggere grandi pressioni, che non solo non li ha portati alla vittoria, ma che li ha tenuti lontanissimi dai migliori 3, al momento inarrivabili.

Conclusosi quindi il più prestigioso dei tornei, ci si reca ora in Nord America per giungere pronti al prossimo slam, quello US Open che dovrà dirci se i 3 dei sono ancora così lontani o se qualche giovane proverà la scalata all’olimpo.

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