“La rivolta degli angeli”: il saggio al Teatro Elicantropo

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Di Martina Orecchio- Se è vero che il termine “teatro” reca in sé l’azione del guardare (theàomai significa, infatti, “vedo”), possiamo dire che il Laboratorio Permanente Teatro Elicantropo di Napoli ha compiuto il miracolo di riportare il teatro alle sue origini. Il saggio che è andato in scena dal 9 al 21 luglio, infatti, fa appello al vedere, prima ancora che all’ascoltare. 

Il Laboratorio Permanente Teatro Elicantropo

La scuola di recitazione del teatro situato in Vico Girolomini consta di tre anni di studio, formazione, crescita, sedimentazione. Due volte a settimana, da ottobre a giugno, aspiranti attori vestono i panni dei più svariati personaggi, guidati da docenti professionisti. Ed ogni anno si cimentano in un saggio finale, come è stato per Terrore e Miseria del Terzo Reich, della stagione scorsa. Questa volta, è toccato confrontarsi con un autore francese.

Si tratta di “La rivolta degli angeli” basato sull’omonimo romanzo di Anatole France e elaborato dalla regia di Carlo Cerciello. La trama può suonare bizzarra: in una Francia non meglio definita, gli angeli vivono sotto sembianze umane e, immergendosi nell’esperienza terrena, non si riconoscono più nella figura del loro Creatore. Per questo, decidono di organizzare una rivolta che possa sovvertire le sorti del mondo. In particolare, sono stati i libri, che man mano spariscono dalla biblioteca del giovane aristocratico Maurice d’Esparvieu, a svelare all’angelo Arcade che gli uomini non sembrano poi essere stati fatti a immagine e somiglianza di Dio. Suore lussuriose, avidi banchieri, donne ingannatrici, presidenti ottusi e arrivisti, un Lucifero che contempla angosciato ciò che l’essere umano è diventato: quello di Anatole France è un mondo alla rovescia, ma proprio per questo in grado di rappresentare noi stessi.

Ed è questo mondo che il laboratorio del teatro Elicantropo ha deciso di portare in scena, nello spazio rimpicciolito di un corridoio. Il senso della vista, dicevamo, è protagonista. E infatti, sono accolti in sala solo 14 spettatori per volta, immersi nel buio di una stanza che diventa ora il palazzo di Maurice d’Esparvieu, ora un salotto parigino, ora la sede del Presidente francese. Ad orientare lo spettatore, gli angeli/diavoli che, nei loro trucchi fluorescenti, sono allo stesso tempo narratori, personaggi, attori. Sono narratori quando sussurrano all’orecchio la storia di Maurice d’Esparvieu e l’evolversi delle vicende; sono personaggi quando sono al centro della scena, dimentichi degli spettatori, ad organizzare la propria rivolta; sono attori quando si inchinano emozionati sulle note de Il testamento di De Andrè. Altra scelta vincente, infatti, è stata quella della musica: pezzi moderni hanno accompagnato la pièce rendendo ancora più godibile una rappresentazione che mescola il tragico e il comico, strizzando l’occhio al pirandelliano sentimento del contrario. Il tutto è vissuto dallo spettatore senza alcuna percezione del distacco tra finzione e realtà: gli angeli cercano lo sguardo (la vista, ancora una volta!) del pubblico, instaurano con esso un dialogo silenzioso sedendogli accanto, rendendolo partecipe della propria rivolta. Se all’inizio fissano lo spettatore con occhi sicuri, alla fine della rappresentazione, esauritosi l’entusiasmo per la rivolta, ad uno ad uno guardano smarriti il pubblico.

Un’ultima menzione va fatta per i dialoghi, scritti e interpretati con la classica enfasi teatrale, senza però mai risultare artificiosi; e questo è certamente merito della bravura e dello studio dei giovani studenti della scuola, ma anche di chi ha saputo sfruttare le potenzialità di ognuno di loro e limarne le imperfezioni. E siano stati i dialoghi, sia stata la musica francese, o i riferimenti a Voltaire e Delacroix, per quanto tutto si sia svolto nel perimetro di un corridoio, su un palcoscenico pressocchè vuoto, possiamo assicurarvi di essere stati nella Parigi di Anatole France.