Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta: il complesso Lapis Museum, rafforza la sua potenza identitaria grazie alla mostra “Sacra Neapolis. Culti, miti e leggende”. Ecco la storia che l’imponente Basilica racconta.
La settimana scorsa abbiamo visitato la Chiesa di Santa Maria Maggiore della Pietrasanta. L’imponente Basilica che sorge nel cuore del centro storico di Napoli, ospita da alcuni mesi la mostra organizzata da Arthemisia sul maestro Chagall e non abbiamo potuto fare a meno di andarci (ve ne abbiamo parlato qui). Questo ci ha permesso di scoprire un vero tesoro della nostra magnifica città e non abbiamo potuto fare a meno di ritornarci per conoscere meglio l’immensità di questo simbolo d’arte e cristianità, anche se ciò che rappresenta e ciò che “racconta” va anche al di là di questo.
LA FONDAZIONE
Si tratta della più antica costruzione sacra napoletana dedicata alla Madonna, si trova a due passi da San Domenico Maggiore e da Via dei Tribunali e fu costruita nel 553 d.c. per volontà del Vescovo di Napoli, Pomponio, proprio dove un tempo sorgeva il tempio sacro dedicato al culto della dea Diana, riservato esclusivamente alle donne, che la invocavano per non avere complicazioni durante il parto. Gli uomini tolleravano poco il suo culto poiché molte ragazze, per evitare matrimoni infelici, preferivano votarsi alla Dea e offrirle la propria castità. Le sacerdotesse furono, infatti, chiamate spregiativamente Dianare o Janare.
In epoca Paleocristiana, queste donne furono accusate di stregoneria e bandite dalla città e probabilmente, da qui nasce la leggenda del Diavolo-maiale legata alla costruzione della Basilica della Pietrasanta. Si racconta che il Vescovo Pomponio decise di far edificare la chiesa dopo che la Vergine Maria gli apparve in sogno chiedendogli di costruire un santuario per contrastare la presenza del diavolo che presa la forma di maiale, compariva tutte le notti, spaventando con il suo grugnito infernale i residenti (secondo cui si trattava di una vendetta delle donne tacciate di stregoneria). Si dice che con l’edificazione della Basilica, questo animale spaventoso sia scomparso per sempre.
Questa storia spiegherebbe anche la presenza di iscrizioni e simboli misteriosi presenti sul Campanile della Basilica, di epoca romana: una delle più antiche torri campanarie d’Italia. Sul Campanile si possono notare alcune piccole sculture in marmo, rinvenute durante gli scavi sul tempio di Diana, rappresentanti teste di suino che fanno palese riferimento alla leggenda del diavolo-maiale e alla Festa della Porcella (celebrata fino al 1625). Secondo la tradizione, durante questa festa, l’abate della Basilica di Santa Maria Maggiore uccideva presso il Duomo di Napoli, una grossa scrofa offerta dai fedeli (simbolo del male) e donava la porchetta all’Arcivescovo (il bene che sconfigge il male).
Il nome Pietrasanta invece, secondo alcuni deriverebbe da una porzione di roccia su cui era stata scolpita l’immagine della Madonna, trovata da Pomponio nel posto in cui stava per sorgere il santuario a lei dedicato. Secondo altri farebbe riferimento a una pietra (mai rinvenuta), forse in marmo, su cui era incisa una croce e custodita nella chiesa: pare che chiunque la baciasse, avrebbe ottenuto l’indulgenza da tutti i peccati. Un’altra ipotesi lega la Basilica ai Templari, perché si dice che nei sotterranei siano celati segni e iscrizioni legati al mito dei Cavalieri seguaci del culto della Madonna Nera. Tante leggende e supposizioni a cui al momento non è possibile dare fondo. L’unica certezza è che la Basilica di Santa Maria Maggiore della Pietrasanta è la prima costruzione sacra dedicata alla Vergine Maria, di epoca paleocristiana, su cui convergono epoche storiche diverse.
Attualmente la Basilica ospita la mostra da non perdere, “Sacra Neapolis. Culti, miti, leggende”; un’esposizione “identitaria” che permette di capire le radici della complessa e millenaria stratificazione e del patrimonio immenso della nostra bella città e soprattutto della Basilica stessa. Dal Museo Archeologico Nazionale (MANN), sono stati scelti reperti della collezione dedicata a Napoli antica e per la prima volta sono esposti al pubblico proprio per raccontare la storia della Neapolis greco-romana, dei miti, dei culti, delle manifestazioni del sacro e della religiosità antica.
PARTHENOPE, NEAPOLIS, PALEPOLIS
È importante, infatti, capire le origini storiche della Basilica e della zona in cui è sorta. Le antiche fonti letterarie riferiscono della presenza di due città: Parthenope e Neapolis. La prima più antica, fondata dai Greci cumani nell’ VIII secolo a.C. sulla collina di Pizzofalcone, prende il nome dalla sirena Parthenope che secondo la leggenda, si gettò in mare insieme alle sue sorelle (Leucosia e Ligea) dopo che Ulisse riuscì a resistere al loro canto. Il corpo della sirena giunse sull’isolotto di Megaride, attualmente occupato dal Castel dell’Ovo. Alla fine del VI o all’inizio del V secolo a.C. fu fondata una nuova città, Neapolis, che divenne una delle più illustri della Magna Grecia.
Già dalla fine del IV secolo a.C. la città entrò nella sfera d’influenza di Roma, con la quale fu sancita un’alleanza. Nel I secolo a.C. divenne municipium romano. Nonostante la romanizzazione, la città mantenne istituzioni e rituali religiosi greci e, soprattutto, continuò ad usare la lingua greca, impiegata anche per le iscrizioni e i monumenti pubblici fino all’età imperiale.
Neapolis fu fondata alla fine del VI secolo a.C. su un promontorio tufaceo affacciato sul mare situato a nord est della più antica Parthenope che, da questo momento, muterà il suo nome in Palepolis (città vecchia). L’impianto urbano di Neapolis risale all’incirca alla metà del V secolo a.C. ed è costituito da tre larghe strade (decumani) parallele al mare con andamento est-ovest, intersecate da strade più strette (cardi) orientate nord-sud. Tale impianto, detto per strigas, è ben riconoscibile nel tessuto del centro storico di Napoli.
Al centro della città, nell’area che va da Piazza San Gaetano fino alla chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco, si estendeva l’agorà. L’immensa piazza era il cuore pulsante dell’antica città, sede di edifici pubblici, religiosi e del mercato cittadino. Di questi edifici rimangono il Tempio dei Dioscuri, incorporato nella chiesa di San Paolo Maggiore, il Teatro romano, l’Odeon e il Macellum, visibile sotto il complesso di San Lorenzo Maggiore. Del tracciato dell’agorà, oggi ricostruibile, sono visibili alcuni tratti a Piazza Bellini, a Piazza Cavour e a Piazza Calenda, dove si conservano i resti della porta Furcillensis e di una torre inglobata nel Teatro Trianon.
Molti sono stati i ritrovamenti che mostrano le diverse epoche e stratificazioni: strutture di epoca romana si trovano in un altro vano ipogeo della basilica, nell’area compresa tra il transetto e la navata centrale. Si tratta probabilmente dei resti di una lussuosa domus, di cui si conservano alcune murature e preziosi pavimenti a mosaico. L’opera reticolata (opus reticulatum o reticolatum) è una tecnica edilizia romana usata per realizzare un paramento livellato e regolare di un muro in opera cementizia.
RITROVAMENTI
Nella Basilica è presente anche un ossario di epoca tardo-seicentesca posto sotto le scale di accesso alla Basilica. Si tratta di una piccola cripta destinata alla deposizione dei morti, raggiungibile attraverso un piccolo pozzo cui si accedeva direttamente dalla scalinata esterna della Basilica grazie a un gradino rimovibile che fungeva da botola. Le ridotte dimensioni del pozzo permettono di ipotizzare che la struttura fosse legata alla deposizione di bambini nati morti o deceduti subito dopo la nascita, come si evince dai numerosi resti di piccoli scheletri ritrovati in questo ambiente.
Il suo sottosuolo poi, è di estrema rarità ed è ricco di storia: racconta che i fitti bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale segnarono uno spartiacque nella vita del mondo del sottosuolo e ne alterarono le antiche funzioni, infatti, le cavità era usate dai “pozzari” che permettevano l’uso dell’acqua alla popolazione intera. L’UNPA (Unione Nazionale Protezione Antiaerea) chiese agli ultimi “pozzari” napoletani (un mestiere antico e in fase di “estinzione” visti i cambiamenti tecnologici che il nuovo secolo aveva portato), di identificare le zone che meglio di altre si prestavano all’accoglienza dei civili e realizzò, per la prima volta nella storia del sottosuolo napoletano, delle scale che permettessero il facile accesso alle cavità.
Furono inoltre allestiti impianti elettrici collegati a generatori, bagni, cucine e tutto il necessario. L’elenco ufficiale dei ricoveri redatto dall’UNPA il 30 aprile del 1939 prevedeva la realizzazione di circa 430 ricoveri antiaerei, di cui almeno 350 nelle cavità dell’acquedotto greco-romano. Dai documenti ufficiali si può ipotizzare che circa 700.000 napoletani potevano ripararsi in pochi minuti. L’UNPA eseguì anche opere di chiusura di numerosi cunicoli “morti” o non utilizzabili e ne allargò altri per consentire l’agevole passaggio delle persone. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, la città di Napoli, nonostante abbia subito il maggior numero di bombardamenti, ebbe il più basso numero di vittime grazie al suo sottosuolo.
Ricordiamo infine che nel Lapis Museum, è possibile anche vedere in tempo reale l’attività vulcanica campana grazie a un collegamento con l’istituto di vulcanologia. La Basilica è stata, infatti, luogo di ritrovamenti rocciosi di origine vulcanica. Non mancano anche altre attività interattive che potenziano il percorso del complesso museale.