Il Mar Tirreno meridionale è sempre di più la “catena di fuoco” italiana. Una linea nella crosta terrestre quasi retta che collega Etna, Stromboli, Vesuvio fino ai colli romani.
Oltre questi vulcani visibili, sono numerosi quelli che si nascondono sul fondo del mare. Quelli censiti sono tredici, quelli più conosciuti sono il Marsili, il Vavilov e il Palinuro. Oggi però questa “famiglia” conta dei nuovi componenti.
I ricercatori dell’INGV hanno scoperto un complesso vulcanico a soli 15 km dalla costa tirrenica calabrese. Si tratta di uno dei più grandi complessi vulcanici sottomarini italiani, sviluppatosi dalla fusione di materiale proveniente dal mantello lungo e, in particolare, da una profonda frattura della crosta terrestre. Tale complesso vulcanico, costituito dai vulcani Diamante, Enotrio e Ovidio, si sarebbe formato nell’arco degli ultimi 780.000 anni.
Questi vulcani sono il prodotto della subduzione della placca africana con quella euroasiatica. Nello specifico la formazione di catene di vulcaniche situate vicino al bordo della placca adriatico-ionica (una parte di quella africana) sembra essere associata alla risalita di magma causata dal flusso di materiale incandescente proveniente dal mantello.
Questo “nuovo” complesso vulcanico può essere suddiviso in una parte occidentale più lontana dalla costa e una orientale ad appena 15km dalle spiagge di Diamante e Scalea. La parte occidentale presenta una morfologia accidentata e deformata da strutture tettoniche. La parte orientale presenta invece edifici vulcanici arrotondati dalla sommità pianeggiante, causata dall’interazione tra vulcanismo e variazioni del livello del mare che ha generato nel tempo cicli di erosione e sedimentazione.
Articolo di Mattia D’Amico
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