venerdì, Novembre 22, 2024
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Leggende della Campania: Gesio e la Bocca del Dragone

Qualche settimana fa vi abbiamo parlato di un drago che viveva ai confini di Napoli e del cavaliere che lo sconfisse.

Ma la città partenopea non è affatto l’unica, in Campania, ad aver subito l’assalto e l’attacco di una di queste spaventose creature; una delle leggende più celebri riguardo i draghi campani è certamente quella di Volturara Irpinia, comune in provincia di Avellino.

In questo luogo vi è infatti una zona chiamata “la bocca del dragone” dove sono stati consumati assassinii, sacrifici ed epiche lotte. Oggi vogliamo parlarvi della storia della bocca del dragone e di un eroe di nome Gesio.

I Visigoti

C’è stato un tempo in cui Volturara Irpinia venne conquistata da dei barbari – in molti pensano che si trattasse dei Visigoti – e stando alle leggende pare che il successo della loro impresa non fosse dovuto esclusivamente alla loro ferocia in battaglia, ma anche al fatto che possedevano un drago.

Si dice infatti che la città fosse stata interamente coperta da un’ombra spaventosa e gigantesca. Già terrorizzati, gli abitanti alzarono gli occhi al cielo per capire cosa o chi proiettasse un’ombra così grande: fu allora che videro, per la prima volta, il dragone dei barbari. 

C’era chi dice che avesse tre teste, altri che ne avesse solo una o due, ma l’unica cosa certa, oltre alle dimensioni gargantuesche, era che l’essere possedeva un solo occhio. Il dragone ruggì e piombò sulla città mentre i Visigoti la razziavano, derubando gli abitanti delle loro ricchezze e stuprando le donne del luogo.

In breve tempo la città fu sottomessa.

Dieta draconica

I Visigoti, conquistata la città, riuscirono a riacciuffare il drago che aveva permesso loro di conseguire quella facile vittoria. Il dragone venne messo a guardia d’una grotta dove i barbari avevano ammassato tutte le ricchezze su cui erano riusciti a mettere le mani.

Per nutrirlo, periodicamente conducevano alle porte della grotta del tesoro due ragazzi di Volturara Irpinia e due vitelli: nessuno riuscì mai a sfuggire alle fauci del drago. A volte i genitori dei ragazzi cercarono di sottrarli alle fauci del mostro, ma finirono per essere divorati anch’essi dal drago.

Uno straniero

Un giorno, giunse in città un uomo di nome Gesio. Il suo aspetto tradiva la sua provenienza: alto più di due metri e con una chioma lunga e dorata si capiva sin dal primo sguardo che doveva venire dal più profondo nord.

Gesio aveva un lungo mantello, una possente armatura ed uno scudo su cui capeggiava un misterioso stemma raffigurante tre colline, una quercia ed un corvo. Arrivato nei pressi di Volturara Irpinia l’uomo si appropinquò ad una fonte d’acqua per bere, quando vide una fanciulla che, vicina al fiume, piangeva disperata.

Straziato da quei singhiozzi, Gesio le si avvicinò e le chiese il motivo delle sue lacrime, porgendole un brandello di stoffa strappato dal suo mantello. La ragazza raccontò della terribile maledizione che ormai gravava sulla città, raccontò dei barbari, del drago e dei sacrifici. Il cavaliere la consolò e le disse di aver già sperimentato sulla propria pelle la crudeltà dei Visigoti, verso cui covava desiderio di rivalsa e vendetta.

Poi si allontanò senza proferire altra parola, stringendo la propria spada e lasciandola colma di domande e perplessità.

Catene spezzate

All’alba del giorno seguente, quando stavano per essere condotte alla grotta del dragone le ennesime due vittime, comparve Gesio. I due ragazzi che sarebbero stati offerti alla bestia come tributo erano legati, sorvegliati da diversi barbari, e per prima cosa Gesio li liberò con un colpo di spada, rompendo le loro catene.

Dopodiché iniziò a lottare con i guardiani che li accompagnavano e con estrema facilità li uccise uno dopo l’altro. Tagliata la gola dell’ultimo visigoto, disse ai ragazzi di tornare alle loro case; i due non se lo fecero ripetere e fuggirono via, raccontando che, a liberarli, era stato uno straniero, un uomo misterioso di nome Gesio.

La bocca del dragone

Gesio, dopo aver liberato i ragazzi, entrò nella grotta, ben deciso a combattere la belva che terrorizzava la città. Man mano che s’incamminava nel dedalo di gallerie naturali, avvertiva sempre più chiaramente la presenza del dragone: la terra e le pareti della caverna tremavano, l’aria era sempre più calda e satura di un odore terribile e fetido.

Dopo molto camminare, alla fine Gesio raggiunse l’antro dove la bestia viveva: era enorme, gigantesco, ed aveva davvero tre teste ed un solo occhio. Approfittando della distrazione del dragone, che in quel momento stava divorando una delle vittime sacrificali che i barbari gli avevano portato, provò ad attaccarlo; ma il drago lo vide e si scagliò su di lui.

Le tre teste lo morsero, le fauci di ognuna delle sue bocce conficcate in una parte diversa del corpo di Gesio: una morse le gambe, un’altra il busto ed l’ultima il braccio sinistro. Il drago schiacciò la sua preda sul pavimento, e sentendo l’armatura cedere sotto la forza del morso e del peso del mostro, l’uomo capì di doversi muovere in fretta.

Fortuna volle che il suo braccio destro, quello che impugnava la spada, fosse l’unica parte rimasta libera. Facendo un grande sforzo, riuscì a sferrare un colpo verso il drago, riuscendo a colpire proprio il suo unico occhio. Gridando con quanto fiato aveva in gola e usando tutta la forza che gli era rimasta, Gesio spinse la spada fino all’elsa ed anche oltre nel corpo del dragone: attraversò l’occhio e la testa fino a giungere al cuore della bestia.

Il drago si accasciò al suolo: era morto. I punti dove le tre teste del drago si schiantarono crearono tre profonde voragini e, dopo qualche istante, il corpo della belva svanì nel nulla.  Da allora la grotta venne chiamata “La bocca del dragone”.

Il tesoro e la leggenda

Ripreso fiato dopo la terribile battaglia, Gesio nella grotta trovo tre forzieri colmi d’oro e gioielli. Due li portò in dono ai cittadini di Volturara Irpinia, mentre decise di lasciare l’ultimo, intonso, come tributo al drago appena ucciso, strappato dai Visigoti alla propria casa e sfruttato ingiustamente a causa della loro avarizia. 

Fatto questo, Gesio svanì nel nulla. Dell’uomo misterioso non rimase alcuna traccia, se non il suo nome e le imprese che aveva compiuto, di cui tutti avrebbero parlato fino alla fine dei tempi e del mondo, consacrandolo alla leggenda.

Ancora oggi chi visita la grotta dice di poter sentire l’eco del ruggito del drago e del suo sangue che continua, dopo più di mille anni, a sgocciolare dalle pareti. Ci vuole certo del coraggio a visitare un luogo tanto macabro, il nido di un mostro così feroce, anche se spinti magari dal desiderio di trovare un tesoro abbandonato: saranno anche solo leggende, ma nelle storie e nelle favole, lo sanno tutti, c’è sempre un fondo di verità – e chissà che il drago prima di morire non abbia deposto, vicino al prezioso forziere, almeno un uovo.

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