Una storia di luci ed ombre, genio e sregolatezza quella di Pietro Aurino, campione europeo di boxe arrestato nuovamente per spaccio assieme al fratello Salvatore e alla cognata.
Alla Provolera, quartiere antico e difficile di Torre Annunziata, la palestra di Lucio Zurlo è salvezza e speranza di molte mamme di strappare i propri figli dalla strada e da un destino di degrado. E’ proprio in questa palestra che nel 1988 Pietro Aurino (classe 1976, allora 13enne) si presenta con occhi carichi di sogni di fronte al maestro Zurlo, il quale lo prende sotto la sua custodia cosi come ha fatto con tanti altri ragazzi provenienti da ambienti degradati. “Voglio fare questo sport, voglio fare boxe“, dirà Aurino al maestro. Nella voce trapela tutta la sua voglia di riscatto, la sua determinazione e la sua personalità.
La carriera
Aurino dimostra da subito di avere la stoffa per essere un campione sfoderando sul ring eleganza e imprevedibilità, anche se nessuno, nemmeno Zurlo, avrebbe mai immaginato i traguardi sportivi che quel giovane ragazzo avrebbe conseguito.
A 21 anni diventa boxer professionista: vince 38 dei 41 incontri disputati. Poi diventa campione europeo, sfiora il titolo mondiale e ha rappresentato l’Italia ai Giochi di Atlanta del 1996.
Con le sue prestazione Pietro Aurino si era guadagnato il soprannome di Il killer.
I problemi con la giustizia
Quando è fuori dal ring però, la stessa imprevedibilità che lo aveva reso un campione lo accompagna nel resto della sua vita. Lo stesso degrado che lo aveva spronato ad intraprendere la sua carriera lo aveva portato a combattere anche quando non indossava i guantoni, questa volta, però, contro la giustizia. Nel 2007 viene infatti arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazione camorristica, spaccio e traffico d’armi. Aurino paga il suo debito con la giustizia scontando 8 anni di reclusione. Nel 2016, dopo pochi mesi dalla scarcerazione, come un pugile che non va mai kappaò, torna a combattere.
Tuttavia la sua vicenda giudiziaria non è finita qui; il 15 Novembre 2019, un giorno prima del suo 43esimo compleanno finisce nuovamente in manette assieme al fratello Salvatore e alla cognata; nella sua casa alla Provolera vengono rinvenuti strumenti necessari per confezionare dosi, e secondo gli investigatori spacciava coca, erba e crack. Cade così al tappeto il figlio prediletto della boxe vesuviana, la cui vita è costellata di luci e ombre.
Le parole dei conoscenti
«Era il Maradona dei pugili, un grandissimo talento che poteva fare molto di più della splendida carriera che ha fatto. Pietro è il mio più grande rimpianto di educatore e di maestro di boxe […] Purtroppo con Pietro ho fallito. E questo mi fa molto male». ha dichiarato il maestro. Nelle sue parole non vi è condanna, ma solo rabbia per non aver potuto evitare tutto questo.
E mentre i fratelli Zurlo continuano a ribadire l’importanza e il ruolo sociale della loro palestra, l’ex campione Giacobbe Fragomeni, lancia un messaggio di riscatto ad Aurino: «Anche io sono caduto e mi sono rialzato tante volte grazie alla boxe. Sono uscito dalla droga con grande forza di volontà cominciando un viaggio interiore che continua ancora oggi. Per cambiare bisogna volerlo. Nel momento in cui risolve i suoi problemi con la giustizia lo aspetto nella mia palestra, a Milano, per ricominciare esattamente da dove aveva lasciato».
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