“La Bellezza che Cura” è un progetto dell’associazione Compagni di Viaggio Onlus, e mira ad offrire ai pazienti con malattia oncologica la possibilità di visitare gratuitamente il MANN.
Un progetto importante alla sua seconda edizione, che attraverso la bellezza vuole restituire umanità a pazienti che fin troppo spesso finiscono per essere identificati nella loro malattia.
Vivere nonostante la malattia
Curare non solo a livello medico ma anche emozionale, curare non una malattia ma una persona nella sua interezza: questa la filosofia, la tematica sulla quale si basano i progetti della Onlus “Compagni di Viaggio“.
Sul sito ufficiale dell’associazione, possiamo leggere, tra gli scopi della onlus:
…quello di intermediare tra i bisogni delle persone affette dal Cancro, dall’HIV, dall’Alzheimer, da Malattie Rare, e tutti coloro che con qualsiasi azione possono contribuire a soddisfare questi bisogni.
Fabrizio Capuano, presidente dell’associazione Compagni di Viaggio, racconta: “Il nome della nostra associazione rappresenta la visione di un viaggio.”. Lo scopo è quello di accompagnare il paziente durante questo viaggio, e di mostrargli come “continuare a vivere la propria vita nonostante la malattia. La mission della onlus è quella di trasformare idee in progetti coerenti” e di farlo creando “una rete nella società civile.”
Come nasce “La Bellezza che Cura”
Il progetto “La Bellezza che Cura” è stato fortemente voluto e sostenuto da Alberto Vito, psicologo-psicoterapeuta responsabile dell’unità operativa di psicologia clinica dell’ospedale dei colli.
Alberto Vito racconta di come il progetto sia nato in seguito ad un’epifania vissuta da lui stesso in prima persona, dopo aver visitato il Museo Archeologico Nazionale di Napoli; a seguito di questa visita, racconta d’aver sperimentato un cambiamento nel suo stato emotivo, diventato decisamente positivo.
Si è così reso conto che il contatto con l’arte è curativo, che la bellezza può far bene. A partire dunque da questa esperienza personale, sorse “l’idea di proporre al MANN delle visite per i nostri pazienti […] e loro sono stati assolutamente entusiasti e disponibili.“.
Un Museo aperto
“Questo progetto” prosegue Alberto Vito “è assolutamente in sinergia con il momento storico che sta vivendo il MANN, che già da molti anni è aperto al territorio e porta avanti una visione del Museo che sì, conserva le vesti del passato, ma che rimane molto attivo e porta avanti tantissime iniziative.“.
C’è già stata, negli anni scorsi, una prima edizione del progetto: il 30 Novembre 2019 parte la seconda edizione con la prima visita guidata.
Aggiungere vita ai giorni
Perché “La Bellezza che Cura”?
Questo progetto ha una fortissima valenza simbolica. Naturalmente non basta una visita ad un museo per “curare” una persona, ma il progetto vuol dimostrare che anche i pazienti in uno stato così fortemente debilitato possano pensare alla propria vita nonostante la malattia.
Ci sono giorni in cui il paziente è fortemente preso dalla malattia, giorni in cui non può badare ad altro; sono pazienti la cui quotidianità, le cui settimane sono scandite dalle visite mediche e dalle terapie. Sono persone la cui vita è stata prepotentemente invasa da una malattia fortemente debilitante.
“Ma ci sono giorni” continua Alberto Vito “in cui stai bene“. Ed in tali occasioni anche un paziente affetto da una malattia in fase terminale può ancora “aggiungere vita” ai propri giorni e godere di ciò che il mondo ha da offrire. In questo senso, “La Bellezza Cura”.
Gli uomini non terminano
“Vent’anni fa” spiega Paolo Cesaro, direttore del Clotilde Hospice “quando l’oncologo diagnosticava un tumore ad una persona, quella persona era praticamente abbandonata dalla sua famiglia.“: la vita del paziente veniva considerata già finita e conclusa, la persona finiva per essere identificata con la propria malattia e perdeva qualsiasi rilevanza nelle decisioni e nelle discussioni familiari. Per questo, aggiunge “non mi piace il termine “malato terminale”: è la malattia ad essere terminale, non l’uomo.“.
I progetti come “La bellezza che cura” sono importanti perché restituiscono soggettività ai pazienti, li aiutano a riappropriarsi della loro vita, una vita che non è ancora finita. Un malato “è una persona che ha diritto alla propria dignità, perché è una persona umana“, fino alla fine dei propri giorni.
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