venerdì, Novembre 22, 2024
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BussoLaLingua // Da dove viene l’espressione “O ciuccio ‘e Fechella”?

L’avrete sentito dire almeno una volta:  me pare ‘o ciuccio ‘e Fechella: novantanove chiaje e ‘a coda fraceta! (ovvero: mi sembri l’asino di Fechella, con novantanove piaghe e la coda marcia).

Talvolta lo sfortunato asino di questo detto di piaghe ne ha trentatré, altre novantanove: l’unica cosa certa è che non se la passa mai troppo bene. E, infatti, questa espressione viene utilizzata per parlare di qualcuno che sta spesso male e che per questo si lamenta spesso e tanto, senza riuscire a portare a termine i propri doveri.

Ma sapete che questo povero e malandatissimo asino è esistito davvero, come anche il suo padrone Fichella? E che la dolorante bestiola ha a che fare con la squadra calcistica del Napoli?

Questa settimana, #BussoLaLingua vi svela tutti i segreti di questa celebre espressione.

Chi era Fechella?

Tra il 1920 ed il 1930 divenne assai celebre, a Torre del Greco, un certo don Mimì, all’anagrafe Domenico Ascione, detto da tutti Fechella.

Pare che l’asino del modo di dire appartenesse proprio a lui: Fechella si occupava infatti di trasportare delle merci alimentari all’interno del Rione Luttazzi, e pareva che lo facesse proprio grazie ad un asinello malconcio e malato.

L’asino, costretto a trasportare carichi sempre più pesanti, aveva la schiena ricoperta di piaghe e la coda decisamente malmessa. Fechella era un uomo povero, e non poteva permettersi né di mettere a riposo l’animale né di curarlo: così continuava a farlo lavorare.

Fichella ed il suo povero asino non passavano certo inosservati – tutti conoscevano ormai il trasportatore ed il suo animale. L’asino era così evidentemente malato da essere paragonato a tutti coloro che avevano una salute cagionevole o che per qualche acciacco si lamentavano: tuttavia, a differenza delle persone a cui si faceva riferimento, la povera bestia andava sempre avanti, senza emettere mai un lamento.

Il simbolo del Napoli

Ma non solo l’asino e il suo padrone sono realmente esistiti: pare che sia proprio lui l’asinello che simboleggia la squadra nel Napoli nell’araldica calcistica.

Inizialmente, in realtà, non era così: quando a Carlin Bergoglio, giornalista e disegnatore, venne in mente di abbinare ad ogni squadra calcistica del campionato un animale, inizialmente sullo stemma del Napoli raffigurò un cavallino nero – lo stesso presente sulla bandiera della città sin dal medioevo.

Tuttavia, al suo primo campionato, nel 1926, la squadra arrivò ultima. Si racconta allora che al “Bar Brasiliano”, luogo di ritrovo per i tifosi, uno di questi abbia gridato, tra l’esasperazione e lo sconforto: ‘Sta squadra nostra me pare ‘o ciuccio ‘e Fechella: trentatré piaghe e ‘a coda fraceta!

L’espressione venne riportata su un giornale, e da allora il ciuccio di Fechella sostituì definitivamente il povero cavallino nero, che purtroppo non aveva fatto bene il suo lavoro e non aveva portato fortuna alla squadra.

Carlin Bergoglio provò a sostituire il cavallino con un altro simbolo, uno “Scugnizzo che suona allegro e chiassoso”, ma non ebbe successo.

Da allora, l’asinello malconcio di Fechella continua a rappresentare la squadra – e di certo le ha portato più fortuna di qualsiasi altro simbolo.

Scopri i segreti di altre parole e modi di dire:

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