venerdì, Novembre 22, 2024
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Run Baby Run: la corsa di una giovane madre al teatro Tram

Uguale, uguale a me. È con queste parole che si apre lo spettacolo dal titolo “Run Baby Run”, scritto e diretto da Mirko Di Martino (vincitore del Premio Tragos alla drammaturgia, Milano 2019), in scena al Teatro Tram da venerdì 17 a domenica 19 gennaio.

L’intenso monologo della protagonista, interpretata da Titti Nuzzolese, una delle fondatrici del Teatro Tram, è la riscrittura teatrale di un fatto di cronaca accaduto negli ultimi anni: la fuga di una giovane madre “tossica” disposta a tutto pur di proteggere la figlia appena nata.

Nel corso di un racconto episodico, ognuno con un proprio titolo proiettato sul fondo nero di una scenografia povera e minimale, si sviluppano gli eventi che, da Milano verso il Sud, innescano una serie di azioni rocambolesche e tragiche che la portano a toccare il fondo. Un tentato aborto, un furto di un’automobile, un mancato arresto: scelte sbagliate, tutte giustificate dal desiderio di una nuova vita.

Marta, personaggio al limite, vive una vita di incomprensioni e di tormenti: il rapporto conflittuale con la madre Giuditta, un padre assente, una relazione tossica con un pusher che le suggerisce persino di abortire. In un tale contesto, la fuga rappresenta per lei l’unica vera forma di riscatto.

Il suo essere madre, nonostante rappresenti per lei una novità, la spinge ad affrontare con forza i suoi fantasmi e a fare i conti con la maternità e le difficoltà che essa comporta. Sarà, infatti, catartico l’ultimo incontro, quello con la nonna materna, l’unica persona della quale conserva un buon ricordo. Nonna, madre e figlia si sovrappongono sul finale e si riconoscono come madri, ciascuna con le proprie mancanze e le reciproche incomprensioni, lasciando a Marta la consapevolezza che non esiste il modo giusto per crescere un figlio.

Lo spettatore, nonostante guardi con distacco alla protagonista, è rapito dalla potenza emotiva di un monologo che lo porta a riflettere sulla legittimità delle sue azioni. Ancora di più, colpisce il dialogo delle tre voci femminili che, in un susseguirsi di aggressività e incomprensione, non lasciano spazio al perdono.

L’opera si conclude con una resa che è anche l’ultimo gesto che la identifica come madre: anteporre il bene della figlia al proprio.

 

Articolo a cura di Roberta Sanguedolce

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