sabato, Novembre 23, 2024
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Ricercatori campani: storie di ordinaria precarietà

Per migliaia di giovani ricercatori campani il ritorno a casa rimane un miraggio a causa di contratti precari e condizioni di lavoro sempre in bilico

Sebbene il Ministro dell’Università e della Ricerca Gaetano Manfredi abbia intenzione di assumere 1600 ricercatori, ad oggi la loro posizione resta complicata. La maggioranza degli scienziati campani, infatti, lavora con contratti a tempo determinato, in una situazione tanto precaria quanto stressante. L’unica soluzione, per molti, è quella di andare via: spostamenti in Italia o all’estero sono un sacrificio che i giovani ricercatori spesso sono disposti – o costretti – a compiere per portare avanti le loro ricerche.

Francesca Colavita: la donna che ha isolato il Coronavirus

Uno degli esempi più significativi di questa migrazione è sicuramente quello di Francesca Colavita. La ricercatrice fa, infatti, parte del team dello Spallanzani che è riuscito ad isolare per la prima volta il Coronavirus. Anche Colavita, però, lavora solamente grazie ad un contratto a tempo determinato.

Alessio Botta, precario da 17 anni

Non getta la spugna, invece, Alessio Botta che a 43 anni aspetta ancora la sicurezza di un contratto che gli garantisca un po’ di stabilità. “Dopo la laurea ho seguito il classico iter ma ci sono stati anche due anni senza un centesimo” racconta Botta, oggi icercatore precario di Sistemi di elaborazione delle informazioni al Dipartimento di Ingegneria elettrica e delle Tecnologie dell’Informazione dell’Università Federico II. “Sono ricercatore a tempo determinato di tipo B, non ancora stabile ma al termine del triennio potrei aspirare a una cattedra da professore associato” continua, raccontando poi di come abbia visto molti suoi colleghi gettare la spugna e di come abbia dovuto fare i conti con numerose delusioni amorose. “Sono finite molte storie perché non potevo pianificare un futuro. Da alcuni anni sono sposato e ho due bimbi piccoli perché ho trovato una donna che ha capito cosa significa questo lavoro”.

Valeria Di Dato, ricercatrice per la cura contro il cancro

La precarietà pesa anche su chi, come Valeria Di Dato, svolge importanti ricerche su cure importantissime, come quella contro il cancro. Valeria in questi giorni ha cominciato a lavorare con un contratto a tempo indeterminato, ma questa stabilità arriva per lei all’età di 44 anni. “Il mio più grande errore è stato tornare in Italia dopo tre anni trascorsi in Francia, perché qui è tutto rallentato dalla burocrazia” racconta. Oggi Di Dato lavora alla Stazione Zoologica Anton Dohrn, dove studia le diatomee e la sostanza che produce per difendersi dai predatori e che sta testando come antitumorale.

Claudia Corbo e il suo sogno di ritornare a Napoli

Laureata in Chimica, la 33enne Claudia Corbo sogna di ritornare a Napoli mentre lavora come ricercatrice di tipo B a Milano Bicocca. “Tornare alla Federico II per me sarebbe importante. Ora sono a Milano e constato la difformità di valutazione economica: qui gli assegni sono più consistenti perché arrivano più fondi. Non me ne capacito, è un’assurdità anche perché in molti siamo meridionali a portare avanti la ricerca”. Anche lei ha dovuto rinunciare ad alcune storie d’amore a causa della sua precarietà lavorativa: “Sono la prova dell’assioma che i ricercatori possono stare solo con altri ricercatori” afferma. In attesa di un contratto a tempo indeterminato, però, Corbo prepara un piano B: “Aprire un bar. Spero che non accada perché credo nel mio lavoro”.

Maria Romano e il concorso appena vinto

La più fortunata di tutti è Maria Romano, biotecnologa 33enne. Dopo la laurea a Napoli si trasferisce ad Oxford, dove ha iniziato a muovere i primi passi nella professione di ricercatrice. Riguardo la sua esperienza, Romano afferma “consiglio a tutti alcuni anni all’estero, si rientra più forti e determinati”. Da qualche mese però è ritornata a Napoli dove è ricercatore a tempo indeterminato dell’Istituto di Biostrutture e Bioimmagini del Cnr, diretto da Marcello Mancini. La ricerca di Maria Romano si occupa delle patologie infettive antibiotico resistenti: dopo un concorso fatto senza molte speranze, la ricercatrice è riuscita a mettere delle basi solide per il suo futuro.

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