“Bianco su Bianco” è una performance eclettica, in cui tragedia e commedia si mescolano in un singolare insieme di musica, parole e acrobazie. Lo spettacolo, in scena ieri al Politeama, ha dato il via alla rassegna “Confini Aperti”.
Si è aperta ieri sera con “Bianco su Bianco” la rassegna teatrale “Confini Aperti”, in scena al teatro Politeama con tre spettacoli. Qui il programma e la descrizione di questa interessante iniziativa dei Teatri Associati di Napoli.
“Bianco su Bianco” è una produzione internazionale, scritta e diretta da Daniele Finzi Pasca, con una brillante interpretazione di Helena Bittencourt e Goos Meeuwsen. Una performance davvero singolare, manifestazione a trecentosessanta gradi di un teatro che va oltre i confini della rappresentazione monodimensionale, sia nel rapporto con il pubblico, sia nell’insieme delle arti espresse nella performance.
Appena si entra in teatro, niente sipario calato, ma un palcoscenico pieno di luci (spente, per il momento). Mentre il pubblico si accomoda, una figura mascherata e bizzarra comincia a muoversi sul palco: sembra che si stia preparando o, piuttosto, che stia buffamente controllando la scena. Poi una voce anticipa l’inizio della performance e le luci calano gradualmente di intensità, lasciando, infine, solo un barlume al centro del palco ad illuminare Helena Bittencourt.
Il confine tra attori e spettatori sembra, dunque, poco delineato fin dall’inizio, quasi come se il pubblico entrasse a spettacolo già iniziato. Una sorta di medias res attraverso la presenza iniziale di un personaggio, mascherato e silente, e l’ingresso del pubblico, un interlocutore sempre presente. Il racconto di Helena, infatti, è indirizzato direttamente agli spettatori, con i quali viene a crearsi un rapporto informale e amichevole, che assomiglia a un dialogo che abbatte confini fisici e temporali.
La storia
Alla Bittencourt spetta il compito di narrare la storia di Ruggero, con il goffo supporto del tecnico, interpretato da Meeuwsen. Ruggero, giovane ragazzo che ha dovuto fare i conti con soprusi, violenza, e contesto familiare avverso, è vulnerabile e introverso. Poi l’amore inaspettato, quello che illumina il mondo attraverso un sorriso, troppe volte soffocato, e che apre le porte a una nuova vita. Quindi l’intreccio con la malattia, i momenti di difficoltà, la forza e la capacità di superarli col sorriso, appunto. Una storia da lieto fine, tuttavia caratterizzata a tratti da una dolce malinconia, esacerbata dalle note di una musicalità portoghese.
I personaggi permettono di affrontare temi di grande spessore sociale, come la violenza, il rapporto padre-figlio, le relazioni interpersonali, che inevitabilmente lasciano ai personaggi cicatrici indelebili, letteralmente e metaforicamente. Suonano, perciò, particolarmente veritiere le parole di Ruggero, quando afferma che «siamo come i diamanti: finiamo sempre per riempirci di crepe.»
Il quid di Bianco su Bianco
“Bianco su Bianco” è una performance eclettica, in cui tragedia e commedia si mescolano in un singolare insieme di musica, parole e acrobazie. Eccellente l’interpretazione di Helena Bittencourt e Goos Meeuwsen: coinvolgente ed emozionante nei momenti più profondi, esilarante e spassosa negli intermezzi comici. La Bittencourt, nei suoi candidi vestiti fiabeschi; Meeuwsen, che, bizzarro, imprevedibile, e originale, ha ricordato un po’ una creatura di un bosco incantato. Non a caso ci troviamo in un bosco di lampadine, che crea un’atmosfera da fiaba del tutto incantevole. Assolutamente ammirevole, poi, l’impegno dei due attori nel rappresentare l’opera in lingua italiana, poiché l’una è brasiliana e l’altro olandese.
Una performance completa tra il serio e il farsesco
Una storia, quella di “Bianco su Bianco”, che non viene narrata in modo convenzionale. Al contrario, la platea è affascinata da due cantastorie, i quali narrano episodi di una vita passata attraverso la musica, suonata e cantata dal vivo, e altri stratagemmi scenici che catturano l’attenzione. Gli aneddoti non vengono semplicemente raccontati, ma sono performed a tutto tondo, nel senso che vengono messi in scena a diversi livelli, con l’unione di musica, recitazione, mimica, acrobazia, uso della tecnologia e degli effetti sonori, parole.
Questa miscela di elementi narrativi e scenici prende forma attraverso un particolare contrasto tra dramma e commedia, al quale lo spettatore non sa bene come reagire in un primo momento. Anzi, si tratta di un’atmosfera incantevole e irreale: siamo confusi e rapiti da tutto quello che accade sul palco. Momenti topici, in cui la profondità si scontra, ma si amalgama al tempo stesso, con la comicità dell’arte circense, in uno spettacolo inconsueto e surreale, come avviene, ad esempio, durante l’iniziale scena dei cappelli – nella quale viene messa in risalto anche la straordinaria bravura della Bittencourt nel destreggiarsi alla perfezione tra le parole di un monologo in lingua straniera e l’incastro dei movimenti acrobatici condivisi con Meeuwsen.
Surrealismo ‘reale’
A creare un forte legame con il pubblico è anche l’intermezzo comico. Se in quasi tutta la performance la serietà è bilanciata da una dimensione quasi surrealista, Helena e Goos sono abilissimi nel loro siparietto esclusivamente comico che li vede intenti a recuperare l’unica luce rimasta accesa. È qui che tutte le loro abilità circensi trovano maggiormente espressione: davvero un brillante stratagemma funzionale all’intrattenimento.
La dimensione onirica, quasi paradossale, dell’intera rappresentazione trova, tuttavia, una spiegazione concreta e reale, quando viene svelato il significato di tutti gli elementi scenici. Il simbolismo delle luci – quelle calde della foresta e quelle fredde della camera di un ospedale –, il vestito di rose presente sul palcoscenico fin dall’inizio, l’ippopotamo: tutto ciò che sembrava essere puro intrattenimento surreale ha una concreta ragion d’essere.
Riflettiamo con le parole
Al di là del divertimento, “Bianco su Bianco” è uno spettacolo che suscita anche tanti interrogativi e riflessioni profonde. Una fra tutte, quella sul ruolo delle parole, sulla potenza che queste hanno nel condizionare le persone. Si dovrebbe riflettere più spesso su parole come giustizia, pace, amore. Troppo vaghe, indefinite, talvolta svuotate del loro significato originale, quindi incapaci di trasmettere qualcosa se non il proprio vuoto. Altre, invece, dovrebbero essere coniate per classificare sensazioni non ancora categorizzate eppure esistenti.
Come chiamiamo, infatti, quella sensazione di vuoto che ci pervade quando ci sfugge dalle mani qualcosa o qualcuno di importante? Quell’assenza che ci attanaglia lo stomaco? Un vuoto, certo, ma che deve essere riempito. E allora diventa un vuoto bianco, perché è un vuoto non vuoto, quindi, per descriverlo, quale migliore colore se non il bianco, che riempie gli spazi vuoti anche tra le parole?
La luce è protagonista
Ma una fondamentale co-protagonista nello spettacolo è la luce. Bianca, anch’essa. La luce è capace di creare interi ambienti, riesce a riempire vuoti, è motivo di comicità quando i due personaggi giocano con le lampadine e creano la magia attraverso giochi di luce. Bastano pochi elementi per offrire il ricordo di un ospedale, solo 348 lampadine per ricordare misteriosi cieli stellati o per creare l’atmosfera fatata di una foresta di luce.
Appuntamenti con “Confini Aperti”
Questi i prossimi appuntamenti con la rassegna “Confini Aperti”:
- sabato 21 marzo 2020, alle ore 21:00, lo spettacolo “Sorry, Boys” di e con Marta Cuscunà.
- sabato 18 aprile 2020, alle ore 21:00, Roberto Zappalà torna a Napoli con una prima assoluta in Campania: “Instrument Jam”, che vedrà in scena 7 danzatori e 3 musicisti.
Informazioni e biglietti disponibili sul sito del teatro Politeama, al botteghino la sera degli spettacoli, e al botteghino del teatro Augusteo tutti i giorni dalle ore 10:30 alle 19:30, la domenica fino alle ore 13:30, telefono 081414243.