lunedì, Novembre 25, 2024
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Covid e salute mentale: intervista al dr. Alberto Vito, responsabile di psicologia clinica all’Ospedale dei Colli

Il dottor Alberto Vito, responsabile dell’Unità Operativa Semplice Dipartimentale di Psicologia Clinica dell’A. Ospedale dei Colli, discute con noi riguardo gli aspetti psicologici relativi all’epidemia di Covid-19.

Questa situazione, così estrema e stressante, grava su tutti coloro che la vivono, qualsiasi sia il loro ruolo – pazienti, familiari, operatori sanitari ed anche la cittadinanza. Il dottor Alberto Vito ci parla degli aspetti e le conseguenze psicologiche che questi giorni così diversi dall’ordinario stanno avendo su ciascuno di noi.

Questa emergenza  – ci dice il dottor Alberto Vito – ha degli aspetti specifici molto particolari che riguardano tutte le categorie – e cioè: i pazienti innanzitutto che sono sottoposti ad un regime particolare e i loro familiari che sono isolati; gli operatori che hanno uno stress specifico ed anche la cittadinanza nel complesso. 

Esercitare controllo su se stessi: come reagire

Che effetti può avere sulla salute mentale dei cittadini un’isolamento così prolungato?
Ovviamente misure così rigide, così anomale per noi non possono che destare uno stato emotivo intenso nella collettività; un senso di pericolo, un senso di panico. Anche il fatto di stare in casa può portare a delle conseguenze non necessariamente piacevoli per tutti. Quello che si può dire è che noi non possiamo cambiare le nostre emozioni, ma possiamo cambiare i nostri pensieri ed i nostri comportamenti. L’emozione è più forte di te – non è che la scegli, però ragionare su come pensare e come comportarsi è possibile.

Insomma, si tratta di come elaborare le emozioni che ci capita di provare rispetto queste situazioni così particolari.
Sì. La cosa da capire, su cui riflettere è che in realtà, contrariamente a quello che noi pensiamo, quello che noi sperimentiamo non dipende dal virus; dalla quarantena; dall’emergenza; dai provvedimenti. Dipende invece da tutte queste cose nell’incontro con la nostra personalità. Cioè noi tendiamo a pensare che è colpa del virus, è colpa del fatto che siamo in casa, mentre invece è l’effetto del virus, l’effetto dello stare in casa su come siamo fatti noi. Se uno ragiona in questi termini – cioè che in parte dipende sempre da noi – è più facile attivare delle reazioni più valide, più efficaci. 

Quindi questa consapevolezza ci potrebbe aiutare ad avere la sensazione di avere un potere su quello che ci accade – naturalmente non sul fatto in sé ma su come la viviamo.
Esattamente. Cioè che non abbiamo un potere assoluto sulla realtà ma non è vero che siamo non-attrezzati.

Non siamo inermi nei confronti di questa situazione.
Non siamo inermi se acquistiamo consapevolezza su come funzioniamo. Perché non ci sono dei suggerimenti generici per tutti – per esempio ascoltare la musica – ma bisognerebbe capire ciascuno di noi che meccanismi di difesa attiva e quindi capire quali sono quelli più funzionali per ciascuno di noi. Ad esempio: alcuni si informano tantissimo ed alcuni preferiscono non avere informazioni. Se lo vuoi, inizi a ragionare su come funzioni – se capisci come funzioni sei più attrezzato per reagire.

 Diciamo che si dovrebbe seguire il celebre “Conosci te stesso”?
Sì. Anche un’emergenza è un’occasione: questo tempo rallentato, questo tempo può essere un’occasione per sperimentare una maggiore consapevolezza. Uno dei pochi consigli che sono validi per tutti è parlare delle proprie paure, dei propri stati d’animo, dei propri sentimenti e non sentirsi sbagliati, patologici e inadeguati per questo, perché tutto questo è una reazione normale a una situazione straordinaria. Il timore, le preoccupazioni, la sensazione claustrofobica sono reazioni inevitabili rispetto ad una situazione che è oggettivamente diversa dal solito.

La risposta straordinaria all’accadimento straordinario non è patologico anche se ovviamente fuori dalle righe normali del comportamento, insomma.
Sì. Perché è un comportamento esatto, dal punto di vista psicologico. Cioè se mi rubano in casa, io per un certo numero di volte mi spavento ad aprire la porta – cosa che non fa chi non ha avuto questa esperienza. Ma non sono strano: è che la mia memoria ha memorizzato un’esperienza. Quindi noi sappiamo che non possiamo uscire di casa, è normale che la psiche, la persona reagisca. Noi non dobbiamo spaventarci della potenza delle nostre emozioni, però appunto le possiamo contrastare, metabolizzare, renderci conto che ciò che ci spaventa sono le rappresentazioni della realtà, non la realtà. Quasi nessuno è medico, quasi nessuno ha l’esatta comprensione del problema, però reagiamo alle rappresentazioni che ci facciamo del problema.

Categorie a rischio

Esistono categorie di persone che hanno più difficoltà ad effettuare questo processo di auto-comprensione? Per esempio, pazienti che avevano già una condizione psicologica un po’ più precaria o diversa dalla norma, potrebbero avere più problemi nel reagire alla situazione?
Sì, queste persone possono avere più problemi. Possono avere più problemi quelle persone per cui sono stati interrotti i trattamenti. L’interruzione della quotidianità per alcuni può essere un fattore più problematico che per altri, così come laddove ci sono situazioni familiari complesse e più conflittuali rimanere in casa può essere più problematico. Oltre questo, anche le situazioni di solitudine o anche il sovrannumero di persone in spazi limitati possono provocare stati maggiori.

Aggressività e comunicazione

Cosa ne pensa dell’aggressività che stanno mostrando alcune persone nei confronti di coloro che sono fuori casa? Perché c’è quest’aggressività così forte – sviluppata poi in un modo così repentino?
Be’, perché non si fa ciò che suggerivo prima – cioè acquisire un percorso di consapevolezza. Se uno ha una reazione emotiva, se uno ha una reazione non pensata possono succedere cose del genere. Ma anche in termini di comunicazione vengono commessi degli errori perché non si tiene conto del significato psicologico dei comportamenti. Si devono mandare dei messaggi che sostengano le risorse, non semplicemente che criminalizzino i comportamenti sbagliati. La comunicazione dovrebbe puntare al nostro spirito identitario. Se noi ragioniamo come comunità, come collettività i nostri comportamenti sono molto migliori;  se invece la comunicazione per esempio fa vedere che sono finite le cose nei supermercati noi abbiamo una reazione individuale e questa reazione individuale sarà più emotiva e quindi pericolosa.

Una comunicazione di questo tipo non permette alle persone di razionalizzare la propria reazione.
Esatto. Si dovrebbe fare una comunicazione che rafforzi il nostro spirito di comunità. Tanti comportamenti solidali lo dimostrano: ci sono queste risorse nella collettività. Bisognerebbe avere una comunicazione che indirizzi più sui comportamenti solidali e collettivi invece di trasferire informazioni che poi creano panico.

Il futuro della dimensione sociale

Lei pensa che la paura che adesso stiamo sperimentando nel vedere, incontrare le altre persone potrà mai scemare? I contatti sociali potranno mai tornare come prima oppure questo timore anche solo ad uscire di casa ci accompagnerà per molto tempo?
Non è possibile dirlo con esattezza adesso. Però questo è uno degli aspetti specifici di questa malattia e cioè che noi abbiamo a che fare con un nemico invisibile e che tutti quindi sono potenzialmente portatori del contagio – visto che molti pazienti sono anche asintomatici. Basti pensare alla dimensione paradossale che qualche tempo fa il comportamento di stare chiusi in casa come i giovani hikikomori [termine giapponese che significa letteralmente “stare in casa” usato per indicare coloro che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale arrivando anche a livelli estremi di isolamento N.d.A.] era considerato patologico ed adesso ci viene suggerito e prescritto come comportamento adeguato quello che fino a poco tempo fa era considerato un comportamento fonte di preoccupazione. Siamo di fronte a un cambiamento assolutamente repentino di quanto ci viene richiesto ed è possibile che questo cambiamento poi possa avere delle conseguenze. I social, che fino ad adesso sono stati per molti aspetti criticati, si stanno rivelando molto preziosi per mantenere una dimensione sociale nella collettività. Persino in ospedale, dove noi non possiamo incontrare i pazienti, possiamo fare sostegno psicologico telefonico o usando le video-chiamate.

Pazienti ed operatori sanitari

A proposito dei pazienti: che effetto ha sulla psiche di una persona lo scoprire di essere positivi al Covid-19?
Come dicevo, questa malattia ha degli aspetti molto specifici. Le necessità dell’isolamento comportano che non ci sia un rapporto diretto o non verbale con i medici o gli infermieri – loro vedono solo gli occhi – e soprattutto viene ad esserci l’isolamento dai familiari che invece era una cosa che a livello psicologico reputavamo sempre molto importante.

 E per quanto riguarda gli operatori sanitari?
C’è uno stress straordinario anche per gli operatori, sempre per le problematiche riguardanti il contagio. Infatti non solo sono sottoposti a turni estremamente faticosi, ad un impegno professionale straordinario, ma in più quando tornano a casa hanno il timore di poter contagiare, nonostante tutte le precauzioni adottate, i propri familiari, i propri figli, i propri genitori, i propri partner. Quindi si crea quest’ulteriore paradosso che queste persone, percepite come eroi dalla collettività, sono anche potenziali portatori di contagio e quindi vengono in qualche maniera – spesso anche inconsapevolmente – allontanati dalla collettività.

Si ritrovano quindi a sperimentare anche loro un isolamento.
Sì. Proprio per questa paura del contagio non “staccano” mai. Questo sia per l’intensità del lavoro che viene svolto – dormi pochissimo, devi salvare vite ed hai livelli di adrenalina e di impegno che non permettono di riposarsi facilmente – ma in più ci sono queste altre componenti che rendono particolarmente stressante in questi giorni anche la vita degli operatori sanitari. Oltre naturalmente le preoccupazioni per il proprio personale stato di salute perché, come sappiamo, gli operatori sanitari sono tra le categorie più colpite.

 Non a caso ci sono stati già diversi casi in cui degli infermieri si sono tolti la vita.
 Esatto: questo conferma quella necessità anche del sostegno psicologico agli operatori.

Sostegno psicologico: i numeri da chiamare

Avrebbero bisogno tutti di un sostegno psicologico a seguito di questa “brutta esperienza” collettiva?
Tutti devono attivare delle contromisure. Alcune persone ovviamente possono trovarle in se stesse, non è detto che chi non ha sostegno psicologico non abbia la possibilità di attivare queste risorse. Certamente siamo in un momento di forte stress emotivo per tutti e quindi come dicevo prima non c’è da vergognarsi delle proprie eventuali difficoltà, delle proprie emozioni negative. Non bisogna aver timore nel chiedere aiuto.

Esiste un contatto, un numero al quale rivolgersi nel caso in cui si sperimentino questi stati emotivi negativi?
A.V.
Il servizio di psicologia del Cotugno lavora per i pazienti, familiari dei ricoverati e per gli operatori dell’ospedale. Per la collettività noi abbiamo fatto un progetto in sinergia con la croce rossa comitato di Napoli e rispondono anche operatori del Cotugno e dell’A. Ospedale dei Colli. Il numero è: 0812286870.

Ogni crisi è un cambiamento, ogni cambiamento è un’opportunità

Un’ultima domanda: secondo lei, la pandemia potrebbe essere paragonata a un trauma, un’esperienza collettiva negativa che potrebbe segnare un’intera generazione?
Noi dobbiamo essere ottimisti: dopo ogni esperienza di crisi c’è stata una rinascita. Dobbiamo provare ad individuare gli aspetti potenzialmente positivi che potrebbero derivare da tutto questo. Per esmepio: l’aiuto dato dalla tecnologia, il lavoro straordinario di medici ed infermieri sono tutte cose che resteranno: dovremmo enfatizzare tutti i comportamenti positivi, anche in una situazione di crisi. Occorre assolutamente essere ottimisti. Crisi, dal greco, significa “cambiamento” e non è detto necessariamente che una crisi sia necessariamente negativa. Se ragioniamo come collettività è assolutamente più facile.

Questa crisi potrebbe quindi essere un’opportunità per scoprire o riscoprire cose positive?
 Per la collettività senz’altro. È chiaro che chi ha dei lutti… e questo è un altro aspetto molto pesante che in questo momento l’elaborazioni del lutto diventa più difficile, perché sono sospese quelle esperienze rituali che avevano ed hanno un grande valore psicologico. Questo crea una situazione assolutamente anomala dal punto di vista psicologico.

È qualcosa di inedito?
Sì. Così come per esempio la sospensione delle olimpiadi – per noi ci sono tante “prime volte”. Sono assolutamente inediti per la maggior parte di noi provvedimenti così restrittivi delle libertà, come lo è un’informazione così massiva su quello che sta succedendo. Però bisogna immaginare che la collettività saprà fronteggiare in modo adeguato una situazione che tuttavia è fortemente stressante. 

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