Luciana Impagliazzo, anestesista dell’ospedale Rizzoli di Lacco Ameno nonché mamma di Lara ed Eva, di 9 e 7 anni, aveva salutato qualche giorno fa le sue figlie scrivendo i loro nomi sulla tuta di protezione integrale anti-contagio, con al centro la scritta “Mamy”: da quando all’ospedale Rizzoli è giunto il primo paziente positivo al Coronavirus da intubare, lei ha fatto la sua scelta, ossia non tornare più a casa. O meglio, di dormire da sola in una dependance di Forio, senza più contatti reali con il marito Peppe e con le due figlie.
“Da mamma, l’ho fatto per la loro sicurezza, non sarei stata tranquilla a tornare da loro alla fine di ogni turno. Se questa è una guerra, dovevo andare in trincea senza pensieri, dedicandomici completamente. Non potevo concedermi il lusso di rientrare a casa ed essere impaurita di poter contagiare le persone a cui voglio bene. È dura, lo ammetto. Non mi pesa essere in rianimazione a contatto con i casi positivi, ma non è facile rinunciare al contatto con le mie figlie quando sono a riposo”.
Poi continua: “A Lara ed Eva ho dovuto dire che non mi avrebbero vista per qualche giorno. Come hanno reagito? Mi hanno chiesto perché abbia deciso di fare la dottoressa: ho detto che era quello che ho sempre voluto, sin da quando avevo la loro età. E che c’è sempre bisogno di qualcuno che aiuta chi sta male, oggi ancora di più. Da allora hanno iniziato a incoraggiarmi, tutti i giorni, merito anche di un papà formidabile. Mi chiamano in continuazione, ci siamo attrezzati con Skype e con una webcam puntata su di loro a ogni ora della giornata. Non è la stessa cosa, intendiamoci, e spero che finisca presto. Mi manca il contatto fisico”.
Conclude: “Non bisogna abbassare la guardia, perché qui non potremmo mai fronteggiare situazioni come quelle del Nord”.
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