Boss agli arresti domiciliari, la situazione ora è spinosa. Perché? Le dichiarazioni di Maresca, già target di minacce social: «È finito tutto»
«Speriamo che il virus uccida anche te», «un altro morto in carcere (riferimento al decesso di un detenuto, ndr), te lo porti sulla coscienza». Questi sono solo alcuni stralci delle offese, minacce, intimidazioni provenienti dalle comunicazioni sui canali social di persone vicine alla criminalità organizzata, amici e parenti di boss mafiosi.
I messaggi di odio e rabbia, condivisi in decine e decine di chat, hanno preso di mira due magistrati particolarmente attivi nella lotta alle mafie, ovvero Catello Maresca, sostituto procuratore generale di Napoli, con una carriera alle spalle in Dda e la direzione delle operazioni per la cattura del boss Michele Zagaria, e Nicola Gratteri, procuratore di Catanzaro. Intimidazioni forti, non meno pericolose degli attacchi fisici. Quanto alle minacce subite, Maresca aveva dichiarato: «Non so se ci sia stata una sorta di regia nelle minacce ricevute da me, Gratteri e Di Matteo, che certo non possono essere lasciati soli in questa battaglia», riporta Stylo24.it.
I motivi
Il motivo di queste offese? Odio e violenza sarebbero scaturiti dalle posizioni assunte dei due magistrati antimafia, già a partire dall’inizio di marzo, quando sono avvenuti i primi tumulti in alcuni penitenziari italiani. I messaggi di morte e le ingiurie devono, quindi, essere letti in riferimento alle dure dichiarazioni dei magistrati. Vicinanza e solidarietà erano state espresse anche da Francesco Emilio Borrelli, consigliere regionale dei Verdi, a Maresca, «ritenuto “colpevole” di aver espresso parere contrario allo svuotacarceri.»
Le posizioni di Maresca
A questo proposito, Maresca ha espresso forti critiche verso la situazione penitenziaria già allo scoppio dell’emergenza. Il sostituto procuratore generale di Napoli l’aveva definita drammatica, addiruttura «ai livelli della Colombia», come riporta Il Corriere della Sera. Secondo Maresca, impegnato da anni nella lotta ai clan, sarebbe stato necessario un «piano straordinario di interventi», una strategia efficace da mettere in pratica già prima delle rivolte dell’inizio di marzo. Rivolte che, avvenute con modalità molto simili, Maresca avrebbe ricondotto alla volontà, soprattutto della criminalità organizzata, di aprire canali di comunicazione con l’esterno.
Inoltre, il magistrato ha espresso forte avversità nei confronti della possibile scarcerazione di detenuti per motivi di sicurezza sanitaria. Netta la presa di posizione di Maresca nei confronti della circolare emessa dal Dap lo scorso 21 marzo. Ad essere criticata, la possibilità di concedere ‘sconti’ ad alcuni detenuti, vanificando, così, gli sforzi degli inquirenti fatti per assicurarli alla giustizia.
Più che verso i detenuti che sono tornati a casa a scontare il resto della pena, purché inferiore a 18 mesi, le critiche di Maresca riguardavano gli effetti che queste decisioni avrebbero potuto avere sui detenuti in carcere duro. Altro nodo, per Maresca, sarebbe stata la decisione di dotare i penitenziari di tablet, per sostituire i colloqui in presenza con quelli virtuali.
Una decisione rischiosa, poiché mettere in comunicazione anche i detenuti in regime di alta sicurezza, dunque possibilmente boss, con l’esterno potrebbe rafforzare il potere delle mafie sui territori. «Non ci possiamo permettere di fare regali alla criminalità» – aveva dichiarato il sostituto procuratore di Napoli.
Il caso: fuori il boss
Poi, l’ “ultima” goccia. Un detenuto in regime 41bis è tornato a casa, scontando la pena agli arresti domiciliari. Il ‘miracolo’ è avvenuto per Francesco Bonura, 78 anni, capomafia di Palermo e uno fra i condannati del primo maxi processo a Cosa Nostra. Il boss era stato condannato a 23 anni per associazione mafiosa. La scarcerazione di un detenuto in regime di carcere duro ha subito scatenato dibattiti. Il rischio che molti temono è che questo possa rappresentare un precedente per altri boss.
Il giudice di sorveglianza di Milano ha concesso a Bonura gli arresti domiciliari, vietandogli di «incontrare, senza alcuna ragione, pregiudicati», ma autorizzandolo a uscire all’occorrenza per «motivi di salute», come riporta Il Fatto Quotidiano.
Le reazioni di Catello Maresca: «È finito tutto»
«È finito tutto!» È con queste parole che inizia, quindi, lo sfogo di Catello Maresca su Juorno.it. Il sostituto procuratore si è espresso duramente sulla scarcerazione di Bonura. Secondo il magistrato, l’episodio costituisce un gravissimo precedente per la magistratura italiana, che potrebbe pregiudicare le future deliberazioni.
«Ecco il primo detenuto ristretto al 41 bis ad andare a casa. A nulla rileva che ha 78 anni, perché i mafiosi sono sempre pericolosi, non a caso vengono ristretti in regime di carcere duro. È finito tutto.»
Un grido d’allarme, quello lanciato da Maresca, che evidenzia la pericolosità dell’episodio anche per il futuro.
«Neanche la Procura Nazionale Antimafia è riuscita a mettere un argine alla fuga dei mafiosi nelle loro belle case, vicini ai tanti picciotti che li aspettavano come il pane. Purtroppo, avevamo lanciato l’allarme tempo fa. Si è aperta una ferita difficilmente rimarginabile. E chissà quanti altri mafiosi ora lo chiederanno a gran voce, basandosi su questo illustre precedente. E per i colleghi magistrati anche più rigorosi sarà ora molto più difficile dire di no. È finito tutto.»
Le precauzioni sanitarie necessarie
Il magistrato, poi, pone l’attenzione sulle mancanze del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) in materia di prevenzione. Come già affermato, sarebbe (stato) opportuno, secondo il sostituto procuratore, assicurare presìdi sanitari differenziati anche all’interno dei penitenziari. Una soluzione che eviterebbe di mettere a rischio i risultati ottenuti in riferimento alla lotta alla criminalità organizzata. «Perché invece il Dap non ha adottato i presidi sanitari e le modifiche organizzative necessari a fronteggiare l’emergenza sanitaria?», si chiede Maresca su Juorno.it.
La questione della nota del Dap
La circolare incriminata è quella del 21 marzo. Con questa, il Dap si è rivolto ai direttori dei penitenziari, chiedendo loro di stilare elenchi con tutti i nominativi dei detenuti over 70 e/o con patologie altamente rischiose, e di inviarli con solerzia «all’autorità giudiziaria, per eventuali determinazioni di competenza.»
Qual è il problema della circolare del Dap, fortemente criticata proprio da Maresca? Nella nota non si fa riferimento esplicito alla condizione giudiziaria dei detenuti. In particolare, le Direzioni hanno ricevuto un elenco di 10 categorie ‘a rischio’, di cui nove patologie a elevato rischio di complicanze insieme all’età superiore a 70 anni, con la richiesta di trasmettere i nominativi dei detenuti inclusi in questi casi. Si chiedeva di allegare informazioni «utili a permettere una pronta valutazione», ma non sembrano esserci ulteriori distinzioni.
Dunque questi elenchi avrebbero potuto (e dovuto?) includere anche i detenuti in regime di 41 bis e alta sicurezza. Il rischio, evidenziato anche da Maresca, era quello di lasciare intravedere uno spiraglio anche ai capimafia. Come, per esempio, allo stesso Francesco Bonura.
La risposta del Dap
Con una nota pubblicata dopo circa un mese, il Dap dichiara di non aver «diramato alcuna disposizione a proposito dei detenuti appartenenti al circuito di alta sicurezza o, addirittura, sottoposti al regime previsto dall’art. 41bis dell’Ordinamento Penitenziario.» Piuttosto, la richiesta inviata ai penitenziari il 21 marzo sarebbe stata puramente a scopo conoscitivo.
«Un semplice monitoraggio – fa sapere il Dap – con informazioni per i magistrati sul numero di detenuti in determinate condizioni di salute e di età, comprensive delle eventuali relazioni inerenti la pericolosità dei soggetti, che non ha, né mai potrebbe avere, alcun automatismo in termini di scarcerazioni. Le valutazioni della magistratura sullo stato di salute di quei detenuti e la loro compatibilità con la detenzione avviene ovviamente in totale autonomia e indipendenza rispetto al lavoro dell’amministrazione penitenziaria.»
Un errore secondo Maresca
Per il sostituto procuratore di Napoli, tuttavia, quello del Dap resta un goffo tentativo di discolparsi non assumendosi la responsabilità, poiché, in questo modo, sarebbe lasciata ai giudici ‘l’ardua sentenza’. E tuttavia, questa circolare risulta essere piuttosto importante nelle decisioni prese dai giudici. «È facile, ora che il danno è fatto, dire che è colpa dei magistrati che decidono liberamente», scrive Maresca.
Il magistrato aveva già suggerito al Dap di revocare immediatamente la circolare del 21 marzo, chiedendo di emanarne un’altra con indicazioni più specifiche per le autorità competenti.
‘Relazioni pericolose’
Tutto questo ricorda l’immagine del vaso di Pandora, che rischia di dar vita a un’emergenza nell’emergenza. «Il rischio – aveva già affermato in precedenza Maresca – è che le mafie escano rafforzate da questo tipo di interventi», riportando di nuovo l’attenzione sul potenziale pericolo dei colloqui virtuali in sostituzione di quelli in presenza.
Effettuare videochiamate Skype con i propri familiari potrebbe, infatti, costituire un canale privilegiato per la malavita. I colloqui attraverso piattaforme evidentemente poco tracciabili, anche per i boss, fornirebbero l’occasione di mantenere relazioni dirette con il territorio. Un rischio da non sottovalutare, poiché potrebbe contribuire alla crescita dell’influenza della criminalità organizzata, soprattutto in quei territori fortemente colpiti in termini economici dalla crisi.
In particolare, secondo un quotidiano napoletano, diversi esponenti della criminalità organizzata, detenuti in tutta Italia, avrebbero già provveduto a richiedere videochiamate Skype con i loro familiari, invece delle classiche telefonate. A riportarlo, lo stesso Maresca su Juorno.it, specificando che si tratterebbe di «alcuni esponenti del clan degli Scissionisti di Secondigliano, Cesare Pagano (Cuneo), Raffaele Amato (Sassari), Mariano Riccio (Terni), e quelli dell’Alleanza di Secondigliano (fronte clan Contini del Vasto-Arenaccia), Ettore Bosti (detenuto a Cuneo) e Nicola Rullo (Novara).»
«Non c’è chi non veda quanto tutto ciò sia assolutamente pericoloso. Come è noto a tutti le videochiamate non sono intercettabili. Forse anche su questo il Dap, appena se ne accorgerà, proverà a giustificarsi prendendosela con la tecnologia che non consente le intercettazioni. Non sarà mica colpa del Dap che li ha autorizzati? Traete voi le conclusioni.»
«Buona fortuna»
Evidentemente amareggiato e addolorato, Maresca conclude il suo intervento su Juorno.it con una constatazione.
«Io ho fatto questa battaglia anche troppo tempo, e ci ho messo il cuore. Ma stavolta ho perso. Sono stato lasciato solo. Minacciato e bistrattato da quattro ignoranti filomafiosi. Mi ha confortato solo la vicinanza e la solidarietà della gente perbene. Ma il Palazzo è sordo. E allora sapete che vi dico. Non ci sto più, a questo gioco, in cui le regole le fanno a proprio gusto e piacimento. Non ci sto più. Vado a casa, anzi resto a casa. Giocatela voi questa partita e buona fortuna.»
Normativa ordinaria per il caso Bonura
Il caso della scarcerazione di Bonura ha alzato un gran polverone in politica, con attacchi e accuse al Governo. In un’interrogazione parlamentare, la Ministra Lamorgese ha ribadito che è possibile per i detenuti scontare agli arresti domiciliari la pena detentiva restante solo se questa è inferiore a 18 mesi. Inoltre, da questo provvedimento sono assolutamente escluse alcune categorie di detenuti; inoltre, in ultima analisi la decisione è affidata ai magistrati di sorveglianza.
Quanto a Bonura, il tribunale di sorveglianza di Milano ha diffuso, infatti, una nota per evidenziare come la scarcerazione sia avvenuta tramite normativa ordinaria, e non in seguito alle disposizioni del decreto governativo. Lo spostamento del boss ai domiciliari sarebbe avvenuto per comprovate condizioni di salute (è malato di cancro) e per la sua età, in considerazione anche del fatto che gli mancano meno di 12 mesi per finire di scontare la sua pena.
La risposta di Bonafede
Si sarebbe trattato, quindi, di una decisione presa su base ordinaria, senza riferimenti all’azione di governo e all’emergenza coronavirus. Di fatto, «tutte le leggi approvate da questa maggioranza e riconducibili a questo Governo sanciscono ESPLICITAMENTE l’esclusione dei condannati per mafia (ma anche di qualsiasi reato grave) da tutti i c.d. benefici penitenziari», ha scritto il Ministro Bonafede in un post su Facebook, rispondendo alle accuse mosse direttamente al Governo in particolare da Matteo Salvini.
«Si tratta infatti di decisioni assunte dai giudici nella loro piena autonomia – ha continuato Bonafede – che in alcun modo possono essere attribuite all’esecutivo. L’unica cosa che può fare il Governo (e che, ovviamente, sta già facendo) è attivare, nel rispetto dell’autonomia della magistratura, tutte le verifiche e gli accertamenti del caso, considerato anche il regime di isolamento previsto dal 41 bis.
Un’ultima osservazione: è giusto sottolineare che, in questo momento, i magistrati di sorveglianza stanno facendo un lavoro importantissimo per affrontare l’emergenza Coronavirus nelle carceri.»
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