venerdì, Novembre 22, 2024
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La protesta degli infermieri scesi in piazza: “Siamo la spina dorsale del sistema sanitario”

Flash mob degli infermieri in 30 piazze italiane. L’evento, organizzato dal Movimento Nazionale Infermieri, serve a ribadire l’importanza del ruolo dell’infermiere e a rivendicare migliori condizioni lavorative e contrattuali.

Scendono in piazza con la voglia di far sentire la loro richiesta di miglioramento delle condizioni di lavoro nei presidi ospedalieri. Scendono in piazza “armati” di cartelli e dietro ognuno di essi c’è un volto, dietro ogni volto un nome, dietro ogni nome una persona con le sue storie, le sue paure, le sue esperienze e le sue sofferenze. Nei loro volti sono visibili i segni delle mascherine, delle notti passate insonni, della stanchezza e dello stress vissuto negli ultimi mesi. Sono proprio questi segni la più cruda e visibile testimonianza di tutto il loro calvario nei lunghi e duri mesi in cui l’emergenza Covid-19 infuriava in Italia e metteva sotto assedio il sistema sanitario nazionale.

E’ questo l’identikit dei migliaia di infermieri che sono scesi a manifestare in 30 piazze italiane per chiedere migliori condizioni lavorative. Che questi siano infermieri operanti nei reparti di ospedale, nei pronti soccorsi o a prestare soccorso sulla ambulanze, poco importa; il Movimento Nazionale Infermieri li ha portati tutti in piazza per il riconoscimento della loro professionalità.

Il flash mob a Napoli

A Napoli i manifestanti hanno fatto sentire la loro voce in Piazza del Plebiscito. Da qui, inoltre, sono stati fatti volare palloncini rossi per ricordare il personale sanitario caduto nella lotta al coronavirus. Il flash mob aveva tra le principali rivendicazioni quella dell’ uscita dal Comparto e stipula del primo contratto esclusivo per l’infermiere, del superamento del vincolo di esclusività e l’adeguamento dei salari.

Non chiamateci eroi

Siamo la spina dorsale imprescindibile del sistema sanitario nazionale. Non vogliamo più applausi dai balconi, non vogliamo essere chiamati eroi e non vogliamo le medaglie a Cavalieri d’Italia.

urlano anche gli appartenenti campani del Movimento Nazionale Infermieri.

Cosi la voce degli infermieri racconta una triste realtà: quella di tanti, troppi, infermieri che vengono acclamati ed elevati ad eroi ma che, in fin dei conti, si sono esposti a rischi altissimi senza essere adeguatamente tutelati o ricompensati. Alcuni di loro, come ulteriore beffa,  rischiano addirittura di restare a casa una volta scaduto il contratto.

E’ questo dunque il mondo e il grido di rabbia degli infermieri; mondo difficile e rischioso dove il giorno prima sei un eroe e il giorno dopo il tuo destino è appeso ad un filo.

Ma la protesta non riguarda solo questioni contrattuali ma anche le scarse condizioni di sicurezza in cui gli infermieri sono costretti a lavorare, vivendo quotidianamente con il rischio e il terrore di un possibile contagio. Sopratutto nelle fasi iniziali della pandemia il sistema sanitario era stato colto di sorpresa e pertanto scarseggiavano mezzi per tutelare il personale sanitario.

Abbiamo responsabilità civili e penali al pari della categoria medica e siamo considerati ancora infermieri tutto fare.

ricorda Tiziana Piscitelli, referente territoriale del gruppo e infermiera al Cto dal 2011 dopo esperienze, da precaria, all’ospedale San Camillo di Roma e al Meyer di Firenze.

Marina Cacciapuoti, 32 enne infermiera precaria dell’Azienda Ospedaliera dei Colli, afferma:

Dal punto di vista organizzativo si poteva fare di più per la prevenzione della diffusione del Covid e all’inizio abbiamo lavorato senza le sufficienti condizioni di sicurezza. Indossavamo le mascherine, ma la Ffp2 è arrivata solo dopo.

E poi c’è anche chi il virus l’ha contratto sul lavoro; ecco la storia di Lino Romano, infermiere 46enne in servizio presso il Cotugno:

Sono risultato positivo al tampone durante il picco della pandemia, attorno al 30 marzo curandomi per un mese nel mio reparto, prima di altri 15 giorni di isolamento a casa. Ancora oggi mi sento spossato e non riesco più a lavorare ai ritmi di prima. A destabilizzare  è stato soprattutto la necessità di gestire tantissimi casi in pochissimi tempo. Il Cotugno ha 100 posti, 8 di terapia intensiva. Non sapevamo più dove portarli perché negli altri ospedali c’è stata la lentezza nell’affrontare la cosa e mi riferisco all’allestimento delle sale.

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