È capitato a molti di noi sentire usare, su suolo campano, la parola Sarchiapone. Questo strano termine viene utilizzato spesso per riferirsi a persone un po’ sciocche oppure un po’ ingenue e goffe; altre volte lo si usa per indicare qualcuno dalla stazza particolarmente massiccia.
Ma qual è l’origine di questa parola? E come mai il suo significato è così variabile? Questa settimana, #BussoLaLingua svela per voi tutti i segreti di questa stranissima espressione.
Fatto di carne
Il termine Sarchiapone, che sembra essere stato utilizzato in Campania sin dal 1600, deriverebbe dal greco e, nello specifico da Sarx Poiòs – ovvero “Fatto di Carne“.
Per questo sarebbe usato sia per riferirsi a qualcuno dal fisico corpulento sia a qualcuno di particolarmente sciocco – cioè fatto di sola carne e senza cervello.
La parola venne utilizzata per la prima volta in un documento scritto da Giambattista Basile, che usa questo termine nel suo celebre Racconto dei Racconti – già citato più volte da #BussoLaLeggenda e #BussoLaLingua – e nello specifico nella novella Peruonto, dove il protagonista viene descritto come
Lo chiù granne sarchiopio e lo chiù sollenne sarchiapone c’avesse creiato la natura.
e cioè
Il più grande sarchipo e il più solenne sarchiapone che avesse mai creato la natura.
Walter Chiari e il terribile Sarchiapone
Poco utilizzato per molti secoli, il termine tornò in auge non solo a livello campano ma addirittura nazionale grazie a Walter Chiari, che lo utilizzò in un suo famosissimo sketch mutandone parzialmente il significato nell’uso comune.
La scenetta si svolge all’interno del vagone di un treno.
Walter Chiari è seduto accanto ad un uomo (interpretato da Carlo Campanini) che ha, vicino a sé, una gabbietta coperta da un telo. Incuriosito, Chiari chiede all’altro che animale sia custodito nella piccola gabbia e allora Campanini risponde che si tratta del famosissimo Sarchiapone americano.
Chiari finge di sapere che cosa sia l’animale e, nello scambio di battute che segue, il “terribile Sarchiapone” viene descritto con una serie di attributi che lo rendono sempre più spaventoso. Tanto tremenda è la descrizione della misteriosa bestia che gli altri passeggeri, terrorizzati, fuggono dalla carrozza.
Alla fine si scopre che il Sarchiapone non esiste e che quello di descriverlo in quel modo altro non è che un metodo furbo ed un po’ maligno di viaggiare in maniera decisamente più comoda in vagoni liberi e non affollati.
Da quando lo sketch venne mandato in onda nel 1958, il termine Sarchiapone assunse un altro significato, ovvero quello di qualcuno che parla a sproposito di qualcosa che finge di conoscere.
Il cavallo Sarchiapone
La parola Sarchiapone venne utilizzata anche da Antonio de Curtis, in arte Totò, all’interno della sua raccolta di poesie “‘A Livella“.
In una delle poesie – il cui titolo è “Sarchiapone e Ludovico” – il protagonista è un cavallo purosangue ed un po’ ingenuo il cui nome è proprio Sarchiapone.
Ormai anziano e troppo stanco per essere utilizzato per tirare il calesse, Sarchiapone viene venduto per pochi soldi ad un carrettiere.
Condotto alla stalla, il cavallo incontra un asino di nome Ludovico, anziano e stanco come lui, che inizia a parlargli in maniera disincantata e disillusa delle crudeltà di cui è capace l’essere umano.
Afflitto dalle parole di Ludovico, Sarchiapone – inizialmente entusiasta per la nuova vita che avrebbe dovuto condurre insieme al carrettiere – comprende che i tempi in cui veniva ammirato ed amato per il suo portamento nobile e per la sua bellezza sono finiti. Dopo qualche giorno, per porre fine alle sue sofferenze si getta in un burrone.
Adesso che conoscete tutti i suoi significati, potrete utilizzare con precisione la parola Sarchiapone e non stupirvi più quando vi capiterà di sentirla pronunciare a Napoli o nel resto della Campania.
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