Oggi è la giornata mondiale dell’Elefante. Questa ricorrenza venne istituita nel 2012 grazie all’impegno della regista canadese Patricia Sims e all’aiuto dell’Elephant Reintroduction Foundation. Da allora, la data del 12 Agosto è diventata un’occasione per celebrare questi maestosi animali e organizzare eventi e raccolte fondi volti a tutelarli. La preservazione e protezione degli elefanti diventa infatti ogni anno una preoccupazione sempre più pressante.
Quest’oggi, approfittando di questa ricorrenza, vi raccontiamo una storia vera, accaduta in Campania secoli fa, che ha per protagonista proprio un elefante.
Un elefante alla corte del Re
Il Re Carlo III di Borbone, nella sua Reggia di Portici, creò uno splendido giardino esotico. Questo luogo curatissimo non ospitava soltanto fiori e piante particolari, ma anche e soprattutto specie animali provenienti dai luoghi più disparati – tra alberi e arbusti si aggiravano persino animali feroci come leoni e pantere.
Il Re amava molto il suo giardino, e questo era noto a tutti: nobili di altri regni gli regalavano spesso animali sempre più particolari ed esotici nel tentativo di ingraziarselo. Tra gli altri, così fece anche il Marchese di Salas, che fece recapitare al Re un elefante.
Tra Portici e il san Carlo
Il Re apprezzò moltissimo il regalo del Marchese e in pochissimo tempo il “piccolo” elefante (che in verità era un elefante maschio indiano adulto, che mediamente pesa 6000 kg) divenne il suo animale preferito tra quelli della sua collezione. Tutta la famiglia reale lo amava molto e la popolazione lo apprezzava e ammirava ogni volta che il Re lo sfoggiava pubblicamente durante le parate ufficiali. L’elefante venne ritratto – su commissione – in molte opere artistiche, tra cui un quadro dipinto dall’artista Giuseppe Bonito e una statuetta di terracotta di Gennaro Reale.
L’animale ebbe anche una breve e brillante carriera d’attore: Re Carlo III prestò infatti l’animale al teatro San Carlo per mettere in scena l’opera di Metastasio “Alessandro nelle Indie“. La gente adorava l’elefante e, per poterlo osservare da vicino per qualche minuto, arrivò persino a cercare di corrompere le guardie del re.
All’elefante venne affidata persino una guardia ufficiale personale, che aveva come unico compito quello di prendersi cura dell’animale: l’uomo, un Caporale, divenne in brevissimo tempo una celebrità.
Bonus Track BussoLaLingua: ecco perchè si dice “Capurà, è morto ‘alifante!”
Purtroppo, nonostante le cure e l’affetto, l’elefante morì dopo qualche anno, secondo qualcuno per via della scorretta alimentazione. La salma dell’animale venne imbalsamata alla Reale Università degli Studi e successivamente esposto al Museo di Zoologia. Qui, purtroppo, vennero trafugate le zanne d’avorio e la pelle.
Alla morte dell’elefante, la sua guardia ufficiale personale si ritrovò nuovamente a dover svolgere le sue normali funzioni da Caporale e ben presto perse il prestigio di cui aveva goduto. I commilitoni dell’uomo erano soliti prenderlo in giro, al suo passaggio, gridandogli:
Capurà, è morto ‘alifante! // Caporale, è morto l’elefante!
Ancora oggi questo modo di dire viene utilizzato per riferirsi a qualcuno che, dopo aver vissuto un periodo particolarmente felice, ricco o privilegiato, deve tornare alle sue mansioni quotidiane.
La vita del Caporale non si concluse felicemente: depresso per essere tornato alla sua vecchia vita, spese tutti i soldi guadagnati durante il suo periodo da guardia del corpo in alcool e donne.
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