Nella fondamentale opera del 1936, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, il filosofo tedesco Walter Benjamin analizza con lucidità preveggente il rapporto tra arte e tecnica e tra arte e potere nell’epoca moderna. Per Benjamin, con l’avvento di poderosi mezzi tecnici e con la diffusione della società di massa, l’opera d’arte perde la sua sacralità e la sua unicità, in pratica viene spogliata dell’aura che l’aveva accompagnata per millenni. Un’opera d’arte, grazie alla tecnica (fotografia, cinema, ecc.) può adesso essere riprodotta all’infinito e in luoghi e tempi lontani ed essere usufruita da milioni di destinatari, perdendo di fatto quello statuto di evento unico e irripetibile che l’aveva caratterizzata nella storia. “La riproduzione tecnica dell’Arte significa mercificazione e standardizzazione del prodotto artistico” dirà Adorno. Tuttavia la diffusione dell’arte rappresenta, per Benjamin, anche una possibilità di liberazione delle masse dal controllo dell’élite dominante.
Il decadimento della singolarità, l’impoverimento di senso, il dominio della superficialità e dell’inautenticità, la pervasività totalizzante della tecnica non attengono solo al campo strettamente artistico ma pervadono la cultura contemporanea tout court. Ed è proprio a questa deriva di significati, a questo ottundimento generalizzato, a questo incantamento massificato che cerca di opporsi la neonata Aura.
Aura è una rivista giovanissima, per data di nascita (29 marzo 2020) e per età media dei redattori (tutti neolaureati), fondata da Nicola De Rosa e da un manipolo di ostinate, colte e ambiziose studiose di Lettere. Aura è una pubblicazione trimestrale, consultabile e scaricabile online (aurarivista.it), “open source e no profit, che propone contributi saggistici attinenti al campo delle humanities con predilezione per la teoria della letteratura, la comparatistica, la filosofia estetica e la filosofia della tecnica”. Il 2 ottobre è stato pubblicato il secondo notevolissimo numero, che coniuga l’originalità dei contributi con una veste grafica elegante e suggestiva. La scelta del saggio quale forma di scrittura è strategica e mirata, difatti si evince la precisa volontà di condurre i lettori nel territorio dell’analisi razionale e ponderata delle questioni culturali, in cui il tempo della lettura deve rallentare per sottrarsi alla vuota velocità della comunicazione contemporanea. Il saggio è un universo chiuso e aperto contemporaneamente, se da un lato assume la forma del discorso compiuto, dall’altro lascia lo spazio per ulteriori, non definite, interpretazioni (“la tela dell’ipertesto dirama i suoi filamenti”). La forma saggistica scelta da Aura invita alla meditazione profonda e all’impegno complesso dell’attenzione e del rimando, opponendosi in tal modo al mordi e fuggi della banalità culturale del presente. In questa declinazione vi è la dimensione anche politica della rivista, che vuole tornare, insieme ai lettori, a un tempo altro, al tempo della conoscenza autentica, che metabolizza e trasforma il reale. La musa ispiratrice di Aura è la possibilità dell’infinità interpretativa, l’ermeneutica come conoscenza, la cultura come sentiero mai interrotto, molteplice, labirintico, prospettico. Gli autori e le autrici di Aura esercitano il loro pensiero critico, unendo spessore culturale e acume analitico, su temi di linguistica, fotografia, confini di genere, traduzione, musica, teatro e altro ancora. Hanno scritto per i due numeri di Aura: Sara Gemma, Maria Castaldo, Matteo Squillante, Miriam Orfitelli, Carolina Borrelli, Camilla Russo, Irene Pompeo, Federica Zingarelli, Benedetta Cinque, Alberto Scialò, Nicola De Rora e il professor Francesco de Cristofaro Lo sguardo elevato e sperimentatore di questi giovani, seri e scapigliati, mancava al panorama, troppo spesso asfittico, della cultura italiana. Alla ricerca di un’aura sempre più necessaria, per oltrepassare un nichilismo sterile che assedia le nostre vite disorientate.
“Nei suoi angoli più remoti ciò che continua a vivere è uno sguardo”.
A CURA DI MICHELE SALOMONE