Il 24 settembre anche gli studenti campani sono tornati a scuola. La didattica a distanza che aveva occupato la seconda parte del precedente anno scolastico ha avuto fine e, con trepidazione e speranze, professori e alunni hanno potuto far ritorno nelle aule. Accompagnati anche dal sollievo delle mamme e dei papà, gli studenti della Campania hanno rivisto le mura che prima avevano temuto, talvolta odiato, e che poi avevano imparato a rimpiangere. I collegamenti alla rete difettosi, le video lezioni all’alba (col pigiama “sotto” e gli abiti “sopra”), le telecamere oscurate e i microfoni spenti per non farsi beccare ancora dormienti, le mille piattaforme sbucate come funghi a primavera finalmente hanno potuto essere archiviati nella stanza dei brutti sogni: la scuola, quella vera, ricomincia. Almeno si spera. La ripartenza difatti avviene nella dimensione della fragilità e dell’incertezza. Dopo solo poche settimane le ombre minacciose dei contagi crescenti si addensano come spettri sulla durata della riapertura. La tregua che il terribile virus aveva concesso è stata effimera ma la Scuola, ostinatamente, prova a resistere. Attraverso l’abnegazione di tutto il personale scolastico, la Scuola testimonia la sua determinazione a esserci e a vivere. Ancora una volta la scuola è stata abbandonata da ogni progettualità e sussidio della politica; governo nazionale e enti locali, oltre ai proclami rituali, continuano a essere i grandi latitanti del progetto culturale di questo paese. Ad oggi i banchi singoli non sono arrivati, i trasporti pubblici non sono stati potenziati, gli screening di prevenzione assenti, i termo scanner mai visti, le circolari ministeriali fumose quando non grottesche (“un metro buccale”). Resta solo la volontà dei Dirigenti scolastici di applicare normative indecifrabili, dei professori di tornare dagli studenti, degli studenti di desiderare la comunità.
Riprendiamo da dove ci eravamo lasciati: mascherati. L’esame di maturità aveva visto sfilare ragazzi deprivati di un’emozione irripetibile, sostituita dalla paura; il nuovo anno conduce ragazzi timorosi, increduli di aver ritrovato ciò che credevano perduto. Il comune denominatore e il simbolo di questa vertigine collettiva è una mascherina di stoffa, a coprire bocche che già avevano scarse opportunità di parlare, a tappare nasi che hanno inalato veleni da bambini, a lasciare scoperti gli occhi. È il tempo degli occhi, sono rimasti solo loro a dire chi siamo e cosa proviamo. È il tempo degli sguardi, dove si condensano angosce, dubbi, lacrime, sorrisi, esitazioni, perplessità. Siamo il nostro sguardo, l’unica relazione autentica col mondo ai tempi della pandemia. Guardare giovanissimi studenti della prima liceo al loro primo giorno di scuola, distanziati, mascherati, intimoriti, impacciati e ligi è commovente. Sembra di percepire una domanda muta a cui non si sa rispondere, una giustificata interrogazione su cosa sia successo a cui noi adulti avremmo il dovere di dare risposta se non fossimo smarriti quanto loro. È ammirevole la compostezza di questa generazione, bistrattata e giudicata troppo spesso nonostante sia vittima di un mondo storto, di un’eredità pesante e velenosa, di un’ingiustizia della storia. Sono rispettosi delle norme, proteggono se stessi per proteggere anche l’altro, sopportano privazioni che potrebbero non comprendere, tengono duro, sono educati e pazienti. Allevati a un futuro incerto, si vedono sottrarre anche il presente senza perdere la dignità: non si disperano, non piangono, non si lamentano, portano la tristezza dentro, con coraggio. Prima condannati alla solitudine social, adesso gli viene imposto anche l’isolamento nel mondo: non possono avere un compagno di banco, non possono fare gruppo la sera, non possono frequentare ritrovi e luoghi di aggregazione. In nome di una superiore causa di salute pubblica, questi ragazzi pagano un tributo altissimo, in termini etici e esistenziali. Quale sarà l’eco che questo dramma epocale lascerà nelle loro coscienze? Come crescerà chi ha vissuto sotto assedio?
La Scuola diventa fondamentale adesso più di sempre, anche mascherati questi ragazzi devono stare insieme, ascoltare parole belle, viaggiare sulle rotte della conoscenza, scambiarsi degli sguardi, almeno gli sguardi.
La Scuola è immaginazione, esperienza del mondo, formazione della persona, crescita intellettuale e culturale, possibilità di progettare e di esplorare altre dimensioni della vita, la scuola è un’utopia e un desiderio che non possiamo sottrarre agli uomini e alle donne di oggi e di domani.
P.s. Mentre scrivevo è arrivata la notizia che il Governatore della Campania Vincenzo De Luca ha chiuso le scuole con un’ordinanza. Anziché supportare e rafforzare la Sanità, di competenza regionale, anziché aumentare i servizi di trasporto pubblico, anziché programmare fasce orarie per gli spostamenti, anziché fornire gratuitamente i tamponi ai contagiati in tempi rapidissimi e in tempi altrettanto rapidi gli esiti come competerebbe a chi amministra la cosa pubblica, si sceglie la via più semplice, più devastante, più propagandistica e ingiusta che c’è: eliminare la Scuola.
A CURA DI MICHELE SALOMONE