venerdì, Novembre 22, 2024
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Il Giornale del Professore: La DAD, insegnanti sull’orlo di una crisi di nervi

Ci risiamo, si riprenderà da dove avevamo lasciato: lockdown doveva essere e lockdown è stato. Si torna alla quarantena di massa, alla clausura forzata, all’isolamento sociale estremo: ognuno a casa sua e fine della storia. Dopo i bagordi estivi, dopo il “liberi tutti”, le folle oceaniche sul lungomare e a via Toledo, il “volemose bene che il virus è sparito”, il quanto è stata seria e efficiente l’Italia, si torna alla psicosi collettiva, allo psicodramma nazionale, alle corsette sotto casa, alle certificazioni per vedere i congiunti (categoria che ha disarticolato l’Accademia della Crusca), alla spesa come appiglio salvifico per uscire di prigione, alla rete come unica finestra sul mondo.

La Scuola, come sempre, era stata avanguardistica e precorritrice dei tempi, avendo anticipato l’isolamento e la chiusura. È da oltre un mese difatti che le scuole campane sono deserte, le aule vuote, gli schermi pieni. Eppure la Scuola si era preparata bene all’inizio del nuovo anno scolastico: professori-geometri avevano misurato al centimetro il metro buccale di distanza, Presidi indovini avevano provato a predire l’arrivo dei banchi con rotelle, collaboratori scolastici si erano armati di dispenser e termometri elettronici, il piano di ingresso prevedeva così tante entrate, per evitare l’assembramento, che al confronto il labirinto di Dedalo appariva schematico.

I docenti poi erano stati addestrati con corsi di formazioni ad hoc sulla sicurezza, in cui il malcapitato docente formatore era stato scambiato per Anthony Fauci e sommerso di domande epidemiologiche che ci sarebbe voluta l’Accademia delle Scienze di Stoccolma per rispondere (“il virus sopravvive sulla carta dei libri? Quanto? E sugli schermi degli Iphone? E sui banchi? E per terra? E nell’aria? Ma sono stati i cinesi o è un complotto internazionale?”). Nel corso sulla sicurezza si sono potuti verificare i danni epocali dell’informazione non stop sull’epidemia: tutti sapevano tutto, tutti dubitavano di tutto e i professori erano diventati virologi espertissimi e contraddittori, come buona parte del popolo italiano. All’annuncio della chiusura degli istituti, la Scuola, tempestiva e efficiente, ha sostituito l’ormai inutile formazione sanitaria con quella informatica: qui i docenti hanno svestito i panni di Galli e Ascierto per vestire quelli di Bill Gates o di Steve Jobs, evidenziando abilità e perplessità degne dei migliori ingegneri informatici del mondo. La categoria, con grande spirito di servizio, pazientemente ha dovuto appropriarsi dei linguaggi informatici più avanzati, prendendo dimestichezza con un vocabolario alieno: piattaforma, didattica in remoto, condivisione dello schermo, ecc. I docenti hanno mostrato spirito eroico e pioneristico: alternando competenze raffinate a disastrose ignoranze, confinanti con pianti virtuali. Bisognava tuttavia attrezzarsi, essere pronti, entrare nella scuola del terzo millennio: le improvvisazioni e il caos della “prima ondata” andavano scongiurati! Il Ministero imponendo la didattica a distanza, a marzo scorso, con spirito orgogliosamente italico, aveva mandato la categoria allo sbaraglio, con un’indicazione precisa e cristallina: “Arrangiatevi!”. Per svolgere le lezioni online, erano così fioccate le piattaforme più disparate: Zoom, Office 365, WeSchool, Spaggiari, Jitsi, ecc. Per la scarsa connessione, per arcani motivi tecnici, per mera furbizia studentesca, puntualmente i collegamenti si interrompevano, le immagini si sfuocavano, le voci si spegnevamo e i professori, pur di mantenere vivo il contatto cogli studenti, finivano per utilizzare più canali contemporaneamente. Le stanze dei malcapitati docenti diventavano la sala di controllo della CIA: tre alunni su Jitsi, quattro su Zoom, sei su Wescholl e, all’occorrenza, due su Whatsapp web! Eppure lo studente smaliziato riusciva a sfuggire lo stesso: novello Bin Laden della virtualità scolastica. Nella prima ondata c’erano stati i compiti spediti alle mail dei docenti che si erano ritrovati nelle proprie caselle di posta intere Treccani copiate mirabilmente, con gli studenti scarsi trasformati magicamente in Umberto Eco. Prose raffinate, temi da Nobel, trattati scientifici, equazioni ardite risolte perfettamente erano stati i compiti consegnati da orde di alunni trasformati in copisti medievali. I professori, a loro volta, rispondevano registrando e inviando in whatsapp le lezioni, che diventavano prodotti autistici inascoltati e solitari.

I docenti, usciti stremati da questo viaggio ai confini della realtà, erano speranzosi di poter ritrovare le aule affollate ma confortevoli, gli sguardi e le mani alzate, gli entusiasmi e i tremori, le scuse fantasiose e la relazione umana. La Scuola vera, insomma. Non è andata così, si ricomincia dalla Didattica in assenza (non a distanza). Si riprende con gli studenti mitologici, metà uomo e metà pigiama, con le sorelline piangenti sullo sfondo, con le voci dei venditori ambulanti e delle vicine di casa come un contrappunto operistico, con le apparizioni delle presenze ectoplasmatiche dei genitori nella lezione, con camere oscurate e microfoni silenziati, con sfondi improbabili del pc, con la scuola onirica e surreale della Dad. Si ricomincia coi tic dei professori che non si abitueranno mai ai tasti di un pc, con i gruppi WhatsApp, novelle piazze di mercato da 150 messaggi al giorno, con gli audio chilometrici dei prof che sembrano i monologhi di Molly Bloom nell’Ulisse di Joyce, con lo strabismo funzionale per guardare tutti gli allievi in video. Si ricomincia con le interrogazioni online con le mamme suggeritrici, stile gobbo Rai per Carlo Conti, con rumori impronunciabili di indefinibile provenienza, con gatti e cagnolini che appaiono in schermo nel clima zoofilo della diretta, con gli alunni che spariscono all’improvviso dallo schermo come il Conte di Montecristo dall’isola.

Si ricomincia, con la distanza e con l’assenza della Scuola.

Ci mancherai aula.

A cura di Michele Salomone

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