Una pessima annata, quella del 2020. Una guerra sfiorata, l’Australia in fiamme, gli addii che fanno male, violenza e razzismo, ma anche l’arrivo del vaccino nell’anno di una disastrosa pandemia. Ripercorriamone alcune tappe.
Difficile tirare le somme di questo anno che oggi si conclude. Perché il 2020 più che uno dei tanti, è stato uno spartiacque. L’anno zero dell’epoca contemporanea: c’è stato un prima e ci sarà un dopo. Ad evidenziarlo anche l’Economist che, in un articolo dal titolo “Working life has entered a new era”, ha rinominato la nostra epoca, sfruttando gli acronimi B.C. and A.D. – i nostri avanti e dopo Cristo – che, secondo il noto settimanale britannico, significherebbero ora Before Coronavirus and After Domestication.
Pensateci, il 2020 è stato così intenso e denso di avvenimenti significativi che, ormai giunti alla fine, non siamo più nemmeno tanto capaci di collocarli cronologicamente e capita di non essere completamente sicuri se ciò di cui parliamo sia accaduto davvero nel 2020 o 5 anni fa. Sì, perché gli ultimi 12 mesi ci sono sembrati più 12 anni. I 366 giorni forse più lunghi della storia moderna. Un periodo di tempo quasi indefinito, segnato dalla perenne attesa di qualcosa, in cui spesso i giorni si sono susseguiti in maniera quasi automatica, uno dopo l’altro. E in scena un’umanità confinata all’interno di un micro-cosmo, con gli occhi puntati a ciò che accadeva fuori.
Il 2020 in sintesi (?)
Ecco, appunto, fuori. Se volessimo, infatti, definire il 2020 con opere d’arte non ci sarebbero dubbi: Edward Hopper sarebbe il nostro artista. I suoi quadri, infatti, esprimono un senso di profonda solitudine e incapacità di comunicazione che confinano l’essere umano all’interno di sé, a distanza dagli altri. Il che, ovviamente, in origine voleva esprimere il disagio della società americana del ventesimo secolo. Ma oggi noi riusciamo a darne un’interpretazione molto più attuale, e drammatica per certi versi. Istantanee di spazi urbani deserti, interni di case o alberghi, figure immobili, pensanti, attratte da ciò che c’è all’esterno, ma impossibilitate ad accedervi. In poche parole, l’umanità che vive l’inizio dei roaring twenties del ventunesimo secolo, in uno stato di isolamento fisico e comunicativo.
E se invece volessimo sintetizzare questo anno in parole, come lo definiremmo? Ci prova Google, che nei suoi trends ci indica le 10 parole più ricercate in Italia in questo 2020.
Fonte: Google.
Chiaro e semplice. Ossessionati dai Dpcm e dalle conferenze stampa di Conte, abbiamo cercato informazioni sul coronavirus, sui contagi, sulla protezione civile. Ma le tendenze di Google rivelano anche la preponderante importanza della digitalizzazione della didattica – pensiamo a Classroom, Weschool, Meet – e la morte di importanti campioni dello spettacolo.
Ma procediamo per gradi, perché per questo 2020 non bastano 10 parole. Ne servono molte, molte di più.
Un inizio ‘infuocato’
Sicuramente non si può dire che il 2020 non abbia fatto la sua entrata in scena col botto. Dagli incendi che hanno devastato l’Australia all’inizio dell’anno, infatti, dovevamo capire che il buongiorno si vede dal mattino per davvero. Per fortuna, dopo pochi mesi gli incendi sono stati fermati, ma si stima che siano andati distrutti circa 10 milioni di ettari di territorio, e che siano morti più di un miliardo di animali. In verità, la situazione è molto più drammatica, poiché sono più di 100 le specie duramente colpite dagli incendi, e di queste diverse sono entrate persino in ‘pericolo di imminente estinzione’, a causa della compromissione degli habitat naturali. Tra queste, i koala, di cui sono morti più di 30mila esemplari, e ora, secondo il WWF, sono a rischio di estinzione nel continente. Un vero disastro.
Infuocato è stato anche il 2020 per l’Antartide, che ha vissuto un caldo record registrando una temperatura di 20,7°. Tutto ciò ha catalizzato ancora di più l’attenzione sui cambiamenti climatici e sulla necessità di porre la salvaguardia ambientale in cima alla lista di priorità per tutti i governi. Paradossale, però, se pensiamo che nei primi tre mesi del 2020 la deforestazione dell’area amazzonica è aumentata più del 50% e che il governo Bolsonaro non sembra interessato a prendere provvedimenti a riguardo…anzi.
Poteva essere una guerra… o lo è stata?
Finora non male, però, se pensiamo che dopo soli 3 giorni, rischiavamo di iniziare l’anno addirittura con una dichiarazione di guerra, dopo l’annuncio del presidente degli Stati Uniti Donald Trump in seguito all’uccisione, il 3 gennaio, del generale iraniano Qassem Soleimani, capo delle forze Quds dell’Iran.
E invece il 2020 è stato l’anno di un’altra ‘guerra’, ben più subdola e contro un nemico molto più insidioso: il Sars-Cov-2. È proprio a gennaio che cominciamo a conoscere Wuhan, una città della Cina orientale che pochi avrebbero saputo indicare su una cartina geografica prima del 2020. Ma il 23 gennaio la città viene isolata, diventando l’occhio del ciclone di un fenomeno senza precedenti. Un’epidemia drammatica, che avrà un impatto economico-sociale devastante a livello globale, e che l’11 marzo viene classificata dall’OMS come pandemia.
Ma a gennaio la Cina è ancora lontana dalla sicura Europa, diremmo oggi ‘a distanza di sicurezza’. E in Italia l’argomento del giorno è ancora Sanremo. Ma il pericolo è dietro l’angolo, così l’Italia diventa il primo paese occidentale a dover fare i conti con la prima ondata della pandemia.
È il 21 febbraio e all’ospedale di Codogno viene trovato il Paziente 1. Da quel momento in poi Codogno e l’intera Lombardia si trasformano nel centro nevralgico dell’epidemia, diventano zona rossa e tutti cominciamo a fare i conti con una nuova quotidianità, fatta di mascherine, di igienizzante e di distanza di sicurezza.
Poi arriva il 9 marzo, il dpcm dell’”io resto a casa”, ed è l’Italia intera ad arrestarsi, entrando in lockdown. Una parola straniera che arriva come extrema ratio. Prima è l’Italia, ma diversi Paesi del mondo seguono a ruota. Una situazione senza precedenti, la cui drammaticità risiede nel suo avere un inizio, ma non una fine.
Il 2020 in lockdown
Il Paese è completamente fermo, la nostra quotidianità entra in pausa. Inizia un periodo scandito per lo più dai bollettini giornalieri della protezione civile, dalle dirette del presidente del consiglio, dall’emanazione dei dpcm che, di volta in volta, avrebbero concesso a qualche attività di riaprire.
Tante le immagini di quel periodo che vorremmo dimenticare. La processione dei camion militari che trasportano le bare dei morti per il Covid a Bergamo. L’infermiera Elena Pagliarini addormentata, stremata, sul computer, mentre ancora indossa la tuta protettiva e la mascherina alla fine del turno. Simbolo, l’infermiera, di quegli eroi in prima linea che l’Italia intera ha applaudito dai balconi per i mesi di confinamento.
Emblematiche anche le immagini di Papa Francesco, solo in una San Pietro completamente deserta e coperta da nuvole plumbee, nel momento dell’Ubi et Orbi. Papa Francesco che si è anche inginocchiato davanti al crocifisso ligneo della chiesa di San Marcello al Corso, che protesse la città dalla peste del XVII secolo, in una silenziosa preghiera dalla grande potenza mediatica per la fine della pandemia. Una fine che, ahimè, al 31 dicembre è ancora ben lontana.
Ma la desolazione non è solo quella di Piazza San Pietro. È anche il vuoto delle grandi città deserte, abbandonate. Là dove in tempi normali si sarebbero affollate migliaia di persone, con parole, abbracci, risate, resta solo il ricordo nel tempo sospeso del confinamento. Le città perdono le proprie identità e anche Napoli piomba in uno scenario post-apocalittico.
Ma mentre in corsia i medici, gli infermieri e tutti gli operatori sanitari rischiano quotidianamente la propria vita per salvarne altre, l’Italia intera si stringe in un abbraccio virtuale, gridando che “andrà tutto bene”, cantando canzoni dai balconi, applaudendo a chi chiama ‘eroe’, condividendo musica, parole, pensieri. Immagini positive di un’Italia solidale, che riscopre il senso di comunità anche a distanza. E così, nei quartieri spagnoli di Napoli si ‘improvvisano’ pomeriggi in discoteca all’aperto, mentre di sera ci si riunisce per abbracciarsi forte anche – e soprattutto – da lontano.
(Non è) Buona la prima
Dal 9 marzo al 18 maggio: ecco quanto dura il primo lockdown in Italia. Seguìto, poi, da una stagione estiva che per molti è, erroneamente, suonata come un “liberi tutti”. Tra riapertura delle discoteche e viaggi all’estero, molti si sono dati alla pazza gioia dopo la chiusura di primavera, condannando di fatto il Paese alla risalita dei contagi e all’inizio della seconda ondata.
E di nuovo l’Italia ripiomba in lockdown, questa volta però a zone e col coprifuoco – la sola parola mette i brividi – alle 22. Siamo gialli? Arancioni? Rossi? Colori che ridisegnano la bandiera dell’Italia sulla base dell’Rt, delle terapie intensive, dei contagi (parole dell’anno, anche queste).
La vittoria della collaborazione
Insomma, la pandemia ha messo a nudo le fragilità dell’essere umano, la precarietà della sua vita, facendone emergere, però, anche tutta la bellezza. Ne sono un esempio le centinaia di iniziative solidali a supporto delle famiglie che hanno maggiormente subìto le drammatiche conseguenze economiche della pandemia. Collaborazione è diventata una parola chiave, non solo a livello locale, ma anche sul piano internazionale, dove si collabora incessantemente per trovare un vaccino che sia efficace contro il Sars-Cov-2. Una lotta contro il tempo che, però, ha dato i suoi frutti, visto che il 2020, insieme alla pandemia, ci ha portato anche i primi vaccini. Il 27 dicembre 2020, infatti, diventa una data storica, che segna l’inizio delle prime vaccinazioni in Italia e in Europa.
L’Italia in digitale
E poi abbiamo visto l’Italia in digitale, quella dello smart working e del south working. E abbiamo fatto i conti con la didattica a distanza, che ha generato accesi dibattiti e non poche proteste, soprattutto in Campania, dove il governatore De Luca ha deciso di chiudere le scuole in autonomia, nonostante le direttive governative non lo imponessero.
Siamo diventati di colpo esperti fai-da-te delle principali piattaforme di conferencing in digitale, abbiamo partecipato a eventi, incontri di lavoro, esami universitari in (pigiama e) pantofole. E c’è chi in pantofole si è persino laureato!
Anche il mondo della cultura si è adeguato alla digitalizzazione della quotidianità, nei mesi in cui tutti gli ‘assembramenti’ (altra parola dell’anno, potremmo dire) sono stati vietati. E così abbiamo partecipato a tour virtuali nei musei – magari musei che avevamo sempre voluto vedere, senza averne la possibilità; i concerti sono andati in live streaming; le esposizioni e le mostre sono diventate digitali. Grazie alla tecnologia, il web si è tramutato in uno spazio reale-non-reale che ci ha permesso di demolire le barriere geografiche, assicurandoci una distanza di sicurezza.
Migliori o peggiori?
Un anno intenso, il 2020, non c’è che dire. E all’inizio ci dicevamo che saremmo usciti diversi da questo momento di incertezza. Diversi sì, ma migliori o peggiori? Una domanda da un milione di dollari. Difficile a dirsi. Se questa pandemia ci ha fatto riscoprire il lato solidale dell’umanità, ha però esasperato sentimenti di profonda insofferenza che già covavano da tempo. Si sono inaspriti gli atteggiamenti razzisti e di odio nei confronti dell’altro.
A questo proposito, il 2020 è stato davvero l’anno del politically incorrect. Ma soprattutto del morally incorrect, che negli ultimi 12 mesi sembra di essere stato sdoganato non solo in Italia, ma anche nel mondo. Emerge più forte, per esempio, l’insofferenza del popolo americano verso l’abuso di potere da parte della polizia. La goccia che fa traboccare il vaso, il 25 maggio, è l’uccisione shock di George Floyd da parte di un poliziotto a Minneapolis. E da allora in tutti gli Stati Uniti scoppiano proteste, e tutto il mondo si unisce al grido ‘I can’t breathe’, l’ultima richiesta di pietà che Floyd aveva fatto al poliziotto suo assassino.
Black lives matter
Nasce, così, il movimento “Black lives matter!”, che evidenzia la grande volontà di sradicare il razzismo, ancora tanto presente nel sistema sociale degli Stati Uniti. Una sorta di guerra civile in America, ma che ha oltrepassato i confini del continente, toccando diversi Paesi. Qualcuno potrebbe addirittura parlare di revisionismo storico, con proteste di piazza durante le quali vengono persino buttate giù statue di personaggi ritenuti razzisti o imperialisti.
Un anno di violenze e ingiustizie in Italia
Ma anche in Italia gli episodi di violenza non mancano e, anzi, proliferano. Per ricordare solo uno dei momenti più tristi della cronaca italiana, l’uccisione di Willy Monteiro Duarte a causa di un violento pestaggio per futili motivi ad opera dei fratelli Bianchi. Ma c’è una chiara deriva morale anche dietro l’episodio di un padre che assolda un sicario per far spezzare le mani al figlio chirurgo perché omosessuale. E se pensiamo al femminicidio? La violenza sulle donne è cresciuta significativamente durante il lockdown. Nei primi 10 mesi del 2020 si conta un raddoppiamento dei femminicidi-suicidi. E i dati parlano di una donna uccisa ogni tre giorni.
Ma il ‘morally incorrect’ nel nostro Paese non riguarda solo la violenza fisica, ma anche quella verbale. Centinaia i messaggi a sfondo sessista e razzista che sono stati portati alla luce dai canali dell’informazione. Oggetto di disputa, anche l’annoso divario Nord-Sud, con le parole di Vittorio Feltri. Sì perché, le sue dichiarazioni alla trasmissione ‘Fuori dal coro’ (Rete 4), quando la pandemia era ancora in procinto di esplodere, hanno destato l’ira e l’indignazione di molti, finendo in querele per diffamazione e odio raziale verso Napoli.
Quanti tristi addii
In questo 2020, il mondo ha dato l’ultimo saluto a tanti personaggi che hanno fatto la storia dello spettacolo. L’anno si apre con una notizia shock: il 26 gennaio il mondo dello sport (e non solo) dice addio a Kobe Bryant, morto in un incidente in elicottero insieme alla figlia Gianna e ad altre nove persone. Poi, in una triste giornata di novembre, il mondo dello sport perde un genio del calcio, e anche il cuore di Napoli si ferma. Arriva come una doccia fredda la notizia della morte di Diego Armando Maradona. Centinaia di napoletani si riversano in strada, in barba alle restrizioni imposte dalla zona rossa in Campania, pronti a dimostrare il loro amore incondizionato verso el Pibe de oro. Pochi giorni dopo, il calcio perde un simbolo del trionfo azzurro ai mondiali dell’82, Paolo Rossi, capocannoniere della nazionale.
E come se non bastasse, il 2020 non si è proprio risparmiato e ha portato via con sé due attori straordinari, legati dal doppio filo del cinema. Sean Connery e Gigi Proietti, entrambi interpreti e doppiatori di Draco (Dragonheart, 1996), ci lasciano a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro. Connery, James Bond per eccellenza, si spegne il 31 ottobre, mentre Gigi Proietti muore il 2 novembre, creando un vuoto incolmabile nel mondo del cinema e dello spettacolo italiano. Nel 2020 il mondo perde anche lo scrittore cileno Luis Sepulveda, spentosi a causa del Covid.
Ma sono tanti – davvero toppi – gli artisti di grande calibro che ci hanno lasciato quest’anno. La musica dice addio ad Ezio Bosso, grande pianista che da anni conviveva con una malattia neurodegenerativa. Ma a lasciarci in questo anno sciagurato è anche il premio Oscar Ennio Morricone, maestro che ha composto alcune tra le più celebri colonne sonore del cinema italiano e internazionale.
Ups and down di politica estera
Le elezioni negli USA sono un altro importante momento di quest’anno. Non solo l’impeachment del presidente degli Stati Uniti, ma anche il Dow Jones che segna una perdita del 4,4% registrando il suo più grande tracollo in un solo giorno nella storia. Poiché la situazione di incertezza continua, l’economia americana in quella stessa settimana raggiunge il picco più basso dalla crisi del 2008.
L’anno sugella, però, anche la fine della presidenza Trump, con le elezioni in novembre che decretano John Biden vincitore democratico di un duello ‘all’ultimo sangue’. Una vittoria che Trump non è intenzionato a concedere così facilmente. Con Biden un altro momento storico importante: Kamala Harris diventa la prima donna alla vicepresidenza della Casa Bianca.
Nel 2020 la Brexit diventa irreversibile, con l’uscita formale del Regno Unito dall’Unione proprio all’alba dello scoppio della pandemia. Non un’ottima annata per il Regno Unito, impegnato in un divorzio quanto mai estenuante e snervante dall’Unione Europea. Infatti, soltanto alla fine del mese di dicembre è stato trovato un accordo, riuscendo a scansare in corner un’uscita ‘no deal’.
E mentre la disonorevole vicenda di Giulio Regeni non ha ancora trovato una conclusione, un altro studente, Patrick Zaki, viene arrestato al Cairo. Ad oggi, nonostante gli appelli e le manifestazioni, si trova ancora in carcere. I rapporti dell’Italia con l’Egitto vengono ulteriormente incrinati, al punto che viene richiesto l’intervento europeo.
Ma il 2020 ‘ha fatto anche cose buone’, e ha permesso di far rientrare in Italia Silvia Aisha Romano e, nel mese di dicembre, anche i pescatori di Mazara del Vallo, tenuti prigionieri in Libia.
3,2,1… 2021!
E così, arriviamo alla fine dell’anno un po’ confusi, tra il bisogno di dar fuoco (metaforicamente) al calendario, per lasciare il 2020 finalmente alle spalle, e la sensazione che, in verità, questo 2020 non sia quasi nemmeno cominciato veramente. Come se fosse stato tutto un sogno, dal quale vorremmo svegliarci mentre i fuochi d’artificio che annunciano il 2020 stanno esplodendo gli ultimi colpi.
Ma siamo qui. E questa sera torneremo a sederci attorno a un tavolo, con la speranza di aver acquisito una consapevolezza maggiore. Il conto alla rovescia forse sarà mediato da uno smartphone o un tablet in collegamento con quella parte della nostra famiglia che è distante. Ma non per questo sarà meno importante.
Questo anno, così denso di negatività in tutti i contesti della vita quotidiana, forse, infatti, ci ha permesso anche di trovare quel tempo, che troppo spesso ci sfuggiva, per riflettere su ciò che ci circonda e per giungere alla conclusione che, forse, la direzione in cui stavamo andando non era proprio quella giusta. Questo 2020 è stato un duro colpo a livello sociale, politico, economico, psicologico, morale. Ma abbiamo la possibilità di guardarci indietro e considerarlo come una chance, una possibilità di miglioramento per l’anno che verrà.