La quarta Sezione del Consiglio di Stato ha accolto gli appelli di Arcelor Mittal spa e di Ilva spa in amministrazione straordinaria annullando l’ordinanza del febbraio 2020 con la quale il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci aveva ordinato di trovare gli impianti interessati da emissioni inquinanti rimuovendo poi le eventuali criticità.
Nel momento in cui ciò non fosse avvenuto il primo cittadino aveva ordinato di procedere alla “sospensione/fermata” delle attività dello stabilimento. L’ordinanza era stata emessa, nell’esercizio dei poteri di necessità e urgenza del Sindaco a tutela della salute della cittadinanza, a seguito di episodi di emissioni di fumi e gas verificatisi nell’agosto 2019 e nel febbraio 2020 e delle successive verifiche ambientali e sanitarie.
In primo luogo, il Tar della Puglia, sezione staccata di Lecce, aveva respinto il ricorso delle due società. La sentenza è stata però ribaltata dai giudici del Consiglio di Stato: i giudici hanno ritenuto che quel complesso di rimedi sia tale da limitare il potere di ordinanza del primo cittadino alle sole situazioni eccezionali in cui sia comprovata l’inadeguatezza di quei rimedi a fronteggiare particolari e imminenti situazioni di pericolo per la salute pubblica.
Dunque, secondo i giudici di Palazzo Spada il potere di ordinanza d’urgenza è stato esercitato in assenza dei presupposti di legge, non emergendo la sussistenza di “fatti, elementi o circostanze tali da evidenziare e provare adeguatamente che il pericolo di reiterazione degli eventi emissivi fosse talmente imminente da giustificare l’ordinanza contingibile e urgente, oppure che il pericolo paventato comportasse un aggravamento della situazione sanitaria in essere nella città di Taranto, tale da indurre ad anticipare la tempistica prefissata per la realizzazione delle migliorie” dell’impianto.
Concludendo che “nella specie il potere di ordinanza abbia finito per sovrapporsi alle modalità con le quali, ordinariamente, si gestiscono e si fronteggiano le situazioni di inquinamento ambientale e di rischio sanitario, per quegli stabilimenti produttivi abilitati dall’Aia”, non essendosi evidenziato un pericolo “ulteriore” rispetto a quello ordinariamente collegato allo svolgimento dell’attività industriale.
La sentenza fa discutere, nonostante non neghi la grave situazione ambientale e sanitaria da tempo esistente nella città di Taranto, sotto l’attenzione soprattutto per la sentenza di condanna dell’Italia da parte della Corte Europea dei Diritti Umani.
Fa discutere anche in virtù dello studio pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Nature sugli effetti dell’inquinamento ambientale anche sul quoziente intellettivo dei bambini che vivono nei quartieri vicini allo stabilimento siderurgico, in particolare i rioni Tamburi e Paolo VI.
La ricerca ha analizzato l’interazione tra l’arsenico (trovato nelle urine) e il piombo (trovato nel sangue), evidenziando “effetti neurotossici sinergici”. Il combinato tra i due inquinanti, come denunciato dalle associazioni ambientaliste, produrrebbe maggiori disturbi del comportamento, rischi di autismo, ansia e depressione. Ma per i giudici romani le cose non sembrano essere così.
Il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti rassicura i cittadini che vivono ai piedi dell’acciaieria più grande di Europa
«Alla luce del pronunciamento del Consiglio di Stato sull’ex Ilva, che chiarisce il quadro operativo e giuridico, il governo procederà in modo spedito su un piano industriale ambientalmente compatibile e nel rispetto della salute delle persone. Obiettivo è rispondere alle esigenze dello sviluppo della filiera nazionale dell’acciaio accogliendo la filosofia del Pnrr recentemente approvato», dichiara il titolare del Mise.
Queste sembrano solo voci, promesse senza fondamento. Infatti le associazioni tarantine chiedono di “smentire le voci che danno per imminente un nuovo decreto salva-Ilva che sarebbe una grave atto di protervia e di irresponsabilità.