venerdì, Novembre 22, 2024
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Da “No Clause 28” al DDL Zan: ancora troppo arretrati

“Don’t talk to me about political choice,

I don’t like your tone and I don’t like your voice.

No Clause 28

No Clause 28,

Brother you’re much too late.”

 

Un tuffo nel passato: la “clause 28”

Era il 15 luglio del 1987, oltre 30 anni fa, quando la BBC escluse Boy George da un suo show televisivo. Erano gli anni ’80 e, secondo l’emittente britannica, il noto cantante, ex membro dei Culture Club, poteva esercitare una pessima influenza sul pubblico. Eccentrico, irriverente e con uno stile androgino e al limite dell’effeminatezza, Boy George era un’icona del pop e si era dichiarato apertamente gay. Questo faceva di lui il bersaglio mediatico preferito per la campagna antiomossessuale che stava dilagando in quegli anni.

Meno di un anno dopo, il 24 maggio del 1988, in Inghilterra, Galles e Scozia sarebbe entrato in vigore un emendamento del Local government act, chiamato “clause 28” (o “section 28″), il quale vietava la promozione e la pubblicazione di qualsiasi materiale o contenuto che avesse affinità con l’omosessualità e l’insegnamento di quest’ultimo, in qualsiasi scuola statale, come pretesa relazione familiare. Inoltre, tale clausola prevedeva l’abrogazione di tutte le associazioni gay. Persino all’epoca, questa legge risultava fortemente discriminatoria verso le comunità lgbtq+ di tutto il mondo e si dovrà attendere oltre un decennio perché la “sezione 28” sia abolita in Scozia – agli inizi del 2000 – e il 2003 perché lo sia nel resto del Regno Unito.

Ma, nel frattempo, la calda voce di Boy George avrebbe a lungo cantato parole scritte di getto contro la cosiddetta “clause 28”, voluta dalla leader conservatrice Margaret Thatcher:

“No al paragrafo 28:

fratello sei troppo, troppo arretrato.

Parlano di Aids e la chiamano maledizione,

ma fratelli, noi sappiamo che andrà ancora peggio:

sapete che non la curerete con le campagne tv

o dicendo a quelle madri cosa mettere nelle loro vene.”

 

Ritorno al presente: il DDL Zan

Nonostante le numerose battaglie e i piccoli traguardi sino ad oggi raggiunti, la strada da percorrere per il riconoscimento dei diritti umani è ancora tanta. Molto di questa storia e di tante altre storie, qui non raccontate, si richiama fortemente a ciò che sta accadendo in Italia per quanto riguarda l’approvazione del Disegno di Legge contro l’omotransfobia, proposto il 5 novembre 2020 dal deputato del Pd, Alessandro Zan. A fronte delle numerose interpretazioni fuorvianti riguardo tale proposta di legge, occorre ricordare che il DDL Zan si pone l’obiettivo di contrastare le discriminazioni basate sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità. Dunque, non si tratta di una legge a tutela solo delle comunità lgbtq+, cosa su cui coloro che si oppongono alla sua approvazione continuano ad insistere.

Se nel 1988 ci si opponeva ad una “propaganda a sfondo omosessuale”, ai giorni nostri si cerca in tutti i modi di combattere la “teoria del gender”, tanto temuta – sebbene non esattamente compresa – dai conservatori e difensori della famiglia tradizionale, nonché dell’innocenza infantile, la quale potrebbe venir traviata da un simile argomento.

Nel frattempo, la battaglia per l’approvazione del DDL Zan continua. Ieri l’Aula del Senato ha respinto la proposta di sospensiva al ddl Zan contro l’omotransfobia per un solo voto: 136 sì e 135 no.

Le tre proposte di sospensiva presentate

Sono tre le proposte di sospensiva presentate in Aula al Senato al ddl Zan per renderlo un “testo condiviso”. La prima, presentata dal senatore di Forza Italia, Giacomo Caliendo, ribadisce la necessità di non rinunciare alla funzione parlamentare, ossia quella di dettar legge conciliando interessi opposti. La sospensiva illustrata da Lucio Malan (FI) richiama il concetto di «libertà religiosa» e propone di sospendere l’esame del DDL per consentire un confronto tra Stato e Chiesa, il cui rapporto è regolato dai Patti Lateranensi, richiamati dall’articolo 7 della Costituzione. La terza sospensiva, illustrata dal presidente dei senatori della Lega Massimiliano Romeo, pone l’attenzione sul fatto che «dubbi su alcuni aspetti del ddl sono stati sollevati anche da femministe e donne del Pd» e chiede di rinviare al 27 luglio l’esame del DDL per trovare un accordo politico in commissione.

Martedì prossimo, 20 luglio, è il termine fissato per la presentazione degli emendamenti, anche se il rischio di slittare a settembre è sempre più reale e la possibilità di raggiungere un accordo sembra molto lontana. Gli schieramenti sono intanto chiari: Fi, FdI, Lega contro il provvedimento, mentre Pd, M5s, Leu a favore del testo approvato dalla Camera il 4 novembre 2020, con Italia viva e Autonomie a fare da ago della bilancia.

Un dialogo senza dialogo

Il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, chiede di prendere la parte – secondo lui – più importante della proposta e di procedere con la revisione degli articoli che minano la sua approvazione, ossia gli articoli 1, 4 e 7, qui di seguito riportati:

art. 1: «Per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico; per genere si intende qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso; per orientamento sessuale si intende l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi; per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione»;

art. 4: «Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti»;

art. 7: «La Repubblica riconosce il giorno 17 maggio quale Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, al fine di promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere, in attuazione dei princìpi di eguaglianza e di pari dignità sociale sanciti dalla Costituzione.»

In particolare, si tratta degli articoli che definiscono i concetti di sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere; che tutelano la libertà di scelta e di pensiero; che promuovono la cultura del rispetto e dell’inclusione.

Dunque, come si può pretendere di istituire un dialogo quando si cerca di eliminare proprio gli elementi che potrebbero renderlo possibile?

Maria Rita Balletta
Maria Rita Balletta
Studentessa di Giornalismo ed Editoria presso l'Università di Roma Tre. Appassionata di Cultura, Ambiente e Sport.
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