Quando ti laurei? Quanti esami ti mancano? Dove ti porterà questo percorso di studi? Riuscirai a trovare un lavoro?
Semplici domande, spesso usate da parenti e conoscenti per far conversazione durante le cene di famiglia. Un argomento come tanti, accompagnato da qualche frecciatina o battuta scherzosa, del tipo “Io alla tua età..” e parte il solito ritornello, una sorta di copione non scritto, ma che ogni volta si ripete e che, a lungo andare, stanca e fa sentire vecchi e inutili a soli 20 anni. Sì, perché queste poche semplici frasi, buttate lì per far conversazione e quasi insignificanti alle orecchie di chi le pronuncia, possono trasformarsi in piccoli spilli acuminati e trapassare, in maniera del tutto inconsapevole, la persona alla quale sono indirizzate. Non è qualcosa di improvviso, avviene in modo graduale e, lentamente, si dirama. Una piccola nube scura che si nutre di queste domande, apparentemente innocue, e delle insicurezze da esse indotte, e che finisce col diventare un’ossessione. E poi la paura del fallimento e l’ansia di non riuscire a tenere il passo e il timore di deludere prendono il sopravvento e inglobano tutto il resto.
E assistiamo, inoltre, alla continua ed esasperante esaltazione della corsa al titolo di studio. Sia mai fuori corso. Perché se sei un buon studente, riesci a laurearti nei tempi prestabiliti; in caso contrario, non sei stato all’altezza e, di conseguenza, sei un fallimento. Almeno, questo è il modello propinato al giorno d’oggi ed è anche ciò che molti studenti sono portati a credere. Perché va bene esaltare e valorizzare chi, attraverso impegno e sacrifici, riesce ad eccellere; è un merito e, in quanto tale, va riconosciuto. Questo non vuol dire, però, che sia la norma. Ogni individuo è un mondo a sé e vale lo stesso in ambito universitario e, più in generale, scolastico. Ogni studente ha i propri tempi e ciascuno, a modo suo, affronta tensioni e difficoltà. Non esiste un modo giusto o un modo sbagliato nel farlo, semplicemente lo si fa. Nessuno dovrebbe dettare regole a riguardo o esprimere giudizi e pareri a caso. Soprattutto, nessuno dovrebbe sentirsi sminuito per un voto più basso o un esame conseguito in ritardo rispetto ad altri colleghi di corso.
“L’università è un luogo di vita” ha detto qualcuno, ma negli ultimi anni si è tramutato in un luogo di competizione spietata e di aspettative ancor più serranti e, infine, in un luogo di morte. Lo attestano i numerosi casi di suicidi tra studenti universitari, tra gli ultimi quello del 25enne Antonio Cerreto, lanciatosi dai piani alti nel cortile universitario, dopo aver mentito ad amici e familiari sul numero di esami sostenuti. Un peso, quello dei fallimenti universitari, difficile da sostenere. La paura di non riuscire, di restare indietro in questa folle corsa che è diventato il percorso universitario, un percorso che dovrebbe essere composto di nuove esperienze e della voglia di mettersi in gioco e sì, anche dell’ansia che assale prima di un esame o del timore di un fallimento. Tutte sensazioni che accompagnano la vita di uno studente universitario e che è giusto che ne facciano parte. Ma l’ansia e la paura non dovrebbero impedire di vivere un’esperienza che dovrebbe essere di vita; l’ansia e la paura non dovrebbero inglobare tutto quello che vi è di positivo; l’ansia e la paura non dovrebbero essere insormontabili. Così vengono meno la leggerezza e la spensieratezza che contraddistinguono questi anni. Viene meno la vita e a poco più di 20 anni ci sentiamo vuoti e persi. A poco più di 20 anni, siamo già vecchi e falliti, perché è così che vediamo noi stessi.
Gli studenti non sono animali da competizione. Gli studenti non sono numeri da classificare su di una griglia. Sono persone reali ad hanno sogni e progetti da realizzare, ma anche timori e insicurezze. Non chiedete loro di scadenze, di voti, di classifiche e di prospettive future. Chiedete loro piuttosto come stanno, come si sentono, se hanno bisogno di un sostegno o anche solo di una semplice chiacchierata davanti ad un caffè. Chiedete loro se sono felici e soddisfatti e se amano quello che fanno. Chiedete loro com’é la vita a 20 anni.