Il plasma dei guariti è inefficace: non evita la Covid grave nei pazienti trattati ai primi sintomi anche se somministrato precocemente entro la prima settimana. A scoprirlo è un team di ricerca americano guidato dall’Università di Pittsburgh.
Quando il Coronavirus ha iniziato a diffondersi nel mondo sono stati numerosi i farmaci e le terapie utilizzato per curare la malattia, senza che tuttavia si conoscesse la reale efficacia degli stessi.
Uno dei trattamenti più discussi e, forse, anche più promettenti all’epoca, era quello del plasma iperimmune dei guariti/convalescenti. La terapia consiste nell’infusione di anticorpi neutralizzanti (ottenuti dai pazienti) per combattere un’infezione incipiente e provare a impedirne l’evoluzione nella forma grave e potenzialmente fatale della patologia. Tale approccio è sfruttato da anni in medicina; la stessa OMS lo approva nei casi in cui non sono disponibili medicinali specifici contro una nuova malattie infettiva, esattamente come nel caso della Sars-Cov-2.
Tuttavia, con il passare del tempo, la strategia del plasma iperimmune si è rivelata un metodo poco efficace atto a contrastare il virus, sebbene il suo utilizzo fosse molto promettente. Gli scarsi risultati ottenuti dal trattamento hanno spinto molti esperti ed autorità sanitarie addirittura a non consigliarne l’utilizzo.
Ora però, un’approfondita analisi condotta da ricercatori d’oltreoceano conferma la scarsa efficacia di questo metodo.
I ricercatori e le persone coinvolte
Lo studio è stato condotto da un team di ricerca americano guidato da scienziati del National Heart, Lung, and Blood Institute di Bethesda e dell’Università di Pittsburgh, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell’Università del Michigan, della Medical University della Carolina del Sud, del Vitalant Research Institute, del Centro Medico dell’Università della California di Los Angeles (UCLA), dell’Università di Chicago e di altri istituti.
Gli scienziati, coordinati dal professor Clifton Callaway, docente di medicina d’urgenza presso l’ateneo di Pittsburgh e a capo del progetto “C3PO” per la somministrazione del plasma nei pazienti Covid, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto uno studio clinico randomizzato, multicentrico e in singolo cieco.
Oltre 500 partecipanti, provenienti da una cinquantina di dipartimenti di emergenza degli Stati Uniti, hanno preso parte al test. Tutti i pazienti inclusi nello studio (età media 54 anni) si erano presentati al pronto soccorso entro una settimana dall’insorgenza dei sintomi ed erano in condizioni stabili, idonee alla gestione in ambulatorio. Avevano almeno un fattore di rischio noto per l’evoluzione dell’infezione nella forma grave, come obesità, ipertensione, diabete, condizioni cardiovascolari, malattie polmonari e simili, per questo sono stati considerati idonei per la somministrazione del plasma iperimmune in seno allo studio C3PO.
Lo studio
I ricercatori li hanno divisi in due gruppi: il primo ha ricevuto il plasma dei convalescenti COVID-19 ad alto titolo, ovvero ricco di anticorpi neutralizzanti; il secondo un placebo, una soluzione salina con multivitaminici e senza anticorpi. Entrambi i gruppi sono stati trattati entro una settimana dalla comparsa dei sintomi e, come indicato, tutti i pazienti erano in condizioni stabili. Il professor Callaway e i colleghi hanno messo a confronto l’evoluzione clinica in entrambi i gruppi a 15 giorni dal trattamento, osservando che coloro che avevano ricevuto il plasma iperimmune non hanno avuto alcun beneficio nell’evitare un peggioramento delle condizioni di salute. Fra tutti i 511 partecipanti, la progressione della malattia si è verificata nel 30 percento dei pazienti (77) del gruppo plasma e nel 31,9 percento (81 pazienti) del gruppo placebo. Una differenza soltanto dell’1,9 percento, che non ha rilevanza statistica.
Speravamo che l’uso del plasma convalescente COVID-19 avrebbe raggiunto almeno una riduzione del 10 percento nella progressione della malattia in questo gruppo – dice l’esperto, ma invece la riduzione che abbiamo osservato è stata inferiore al 2 percento […] Questo è stato sorprendente per noi. Come medici, volevamo che questo facesse una grande differenza nella riduzione delle malattie gravi ma così non è stato.
Attualmente sono ancora in corso ulteriori ricerche sul plasma iperimmune, ma le conclusioni cui sono giunti gli scienziati lasciano ben poco margine di manovra per la terapia.
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