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Italia e Smart Working: quasi il 90% delle aziende mantiene lo smart working anche dopo la pandemia

In seguito al diffondersi del Covid-19 e al conseguente isolamento in cui tutto il mondo è stato gettato, lo smart working è approdato anche in Italia. Già applicato, seppur in minima misura, da alcune aziende, lo smart working si è poi rivelato essere la soluzione migliore, non solo per garantire le attività economiche e proteggere la salute pubblica, ma anche per salvaguardare quel briciolo di quotidianità rimasto a lavoratori e studenti.

L’evoluzione dello Smart Working dal 2017 a oggi.

Già dieci anni fa alcune grandi aziende, tra cui Vodafone, Microsoft e Nestlé, si mossero per introdurre lo smart working in Italia. Solo in seguito alla situazione di emergenza, decretata dal Covid-19, si è però presa in considerazione la possibilità di adottare una soluzione ibrida, che integrasse sia il lavoro da remoto che quello in presenza.

Eppure, secondo un rapporto di Eurofound del 2017, l’Italia si posizionava in fondo alla classifica dei paesi UE per la diffusione dello smart working tra i lavoratori, con un misero 7 per cento dei dipendenti a farne ricorso, rispetto al 12 per cento della Germania, al 25 per cento della Francia e al 26 per cento del Regno Unito.

Oggi i numeri parlano chiaro. Dai 570.000 stimati in pre-pandemia, il numero dei lavoratori agili, ossia gli smart worker, durante la prima ondata del Covid-19 ha subito un rialzo vertiginoso, passando ad una stima di circa 6,58 milioni. A fine 2021, considerando anche l’allentamento delle restrizioni e l’avanzamento della campagna vaccinale, il numero è calato a circa 4,07 milioni. Tale stima non significa però un declino dello smart working; infatti, al termine della pandemia si prevede un nuovo aumento dell’8% rispetto ai numeri del terzo trimestre. Inoltre, quasi il 90% delle grandi aziende prevede di proseguire con il lavoro agile anche dopo la pandemia.

“Il vero smart working non è una misura emergenziale, ma uno strumento di modernizzazione”, questa la considerazione tratta dalla ricerca 2021 dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano. Gli smart worker saranno 4,38 milioni nel post pandemia, con formule ibride: in media tre giornate “agili” nelle grandi aziende e due nelle pubblica amministrazione.

Il decreto Proroghe ha inoltre prolungato lo stato di emergenza fino al 31 dicembre 2021, prorogando l’accesso semplificato allo Smart Working. Con lo Smart Working semplificato fino al 31 dicembre 2021, l’azienda può decidere di far lavorare da remoto tutti i suoi dipendenti anche senza accordi preventivi, con turni a rotazione oppure al 100%. A prescindere dalle disposizioni delle singole amministrazioni e aziende, permane il diritto allo Smart Working per le categorie di lavoratori fragili, lavoratori con figli disabili e lavoratori che hanno figli sotto i 14 anni.

Conseguenze e benefici dello Smart Working.

Con l’adozione di soluzioni ibride in gran parte delle aziende italiane, non solo si è riscontrato, com’era prevedibile, un maggior equilibrio fra lavoro e vita privata, ma, nel caso particolare delle grandi imprese (59%) e della pubblica amministrazione (30%), si è verificato anche un miglioramento di efficienza.

Tuttavia, a dispetto degli evidenti aspetti positivi, un lavoratore su quattro ha riportato casi di “tecnostress” e cali di efficienza dovuti all’overworking, la tendenza cioè a trascurare momenti di riposo a favore del lavoro (17% degli smart worker).

Ma i benefici e le opportunità che derivano dallo Smart Working riguardano non solo le organizzazioni e i lavoratori, ma anche una maggiore sostenibilità sociale e ambientale. Secondo le grandi imprese, la sua applicazione su larga scala favorisce l’inclusione delle persone che vivono lontano dalla sede di lavoro (81%), dei genitori (79%) e di chi si prende cura di anziani e disabili (63%).

Si è anche stimato che, con la possibilità di lavorare in media 2,5 giorni a settimana da casa, vi sarebbero notevoli risparmi anche in termini di tempo e di risorse per gli spostamenti: nello specifico, si risparmierebbero 123 ore l’anno e 1.450 euro in meno per ogni lavoratore che usa l’automobile per recarsi in ufficio. Il taglio delle emissioni sarebbe di circa 1,8 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno, pari all’anidride carbonica che potrebbero assorbire 51 milioni di alberi. Un cambiamento a beneficio anche dell’ambiente.

Maria Rita Balletta
Maria Rita Balletta
Studentessa di Giornalismo ed Editoria presso l'Università di Roma Tre. Appassionata di Cultura, Ambiente e Sport.
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