sabato, Novembre 23, 2024
HomeCronacaLas Mariposas: il seme della libertà e quel lontano 25 novembre

Las Mariposas: il seme della libertà e quel lontano 25 novembre

Las Mariposas, così venivano chiamate le sorelle Mirabal, perché erano belle e leggere come farfalle, ma erano soprattutto libere e tali volevano restare. Pagarono con la vita la loro sete di libertà, ma il loro esempio non dovrebbe essere dimenticato né la loro storia raccontata solo ogni 25 novembre, giorno in cui è stata istituita la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

Cosa è accaduto il 25 novembre perché fosse scelto proprio questo giorno per celebrare l’eliminazione della violenza contro le donne? Chi erano le sorelle Mirabal? Perché, dopo oltre sessanta anni, il loro nome continua a risuonare così forte?

Las Mariposas di Ojo de Agua: tre vite al servizio della libertà

«Ho solo due problemi: la Chiesa cattolica e le sorelle Mirabal», questo fu ciò che rivelò il dittatore dominicano Rafael Leónidas Trujillo, a testimonianza di quanto fu forte e potente l’operato e il pensiero delle sorelle Mirabal.

Le sorelle Mirabal

Aida Patria Mercedes, Maria Argentina Minerva, Antonia Maria Teresa sono le sorelle Mirabal. Nascono ad Ojo de Agua, provincia di Salcedo nella Repubblica Dominicana, tra gli anni Venti e Trenta del Novecento, quando è al potere il dittatore dominicano Rafael Leónidas Trujillo. Di famiglia benestante, con la salita al potere di Trujillo negli anni Trenta le sorelle Mirabal perdono quasi totalmente i propri beni, sequestrati dal dittatore. Poco più che ventenni, le sorelle decidono di combattere, con ogni mezzo in loro possesso, il regime dittatoriale di Trujillo.

Il dittatore dominicano Rafael Leónidas Trujillo

È il 1949 e, a soli 23 anni, Minerva, che, nonostante la giovane età, è forte delle sue idee politiche, sfida apertamente Trujillo, durante la festa di san Cristobal, da lui stesso organizzata per la società più ricca di Moca e Salcedo. Un duro periodo inizia per la famiglia Mirabal, ma questo non intimorisce Minerva, sin da piccola innamorata della lettura, della conoscenza e della libertà e la cui influenza sulle sue sorelle è notevole.

Minerva sposa l’attivista politico Manuel Aurelio Tavárez Justo, che diverrà poi il direttore del gruppo antitrujillista Movimento 14 di Giugno. Maria Teresa, la più piccola, segue Minerva nella militanza politica, dopo essersi fidanzata con un altro attivista politico, Leandro Guzmàn, amico del marito di Minerva.

Le sorelle Mirabal – Minerva, Maria Teresa e Patria – coi rispettivi mariti – Manolo, Leandro e Pedro –  nel giorno delle loro nozze

Dopo una prima opposizione da parte della madre che, data la passione politica della figlia, teme per la sua incolumità, Minerva riesce comunque, all’età di ventisei anni, ad iscriversi all’Università di Diritto di Santo Domingo, anche se, dopo la laurea, non le verrà consentito l’esercizio della professione.

Tutti questi divieti, però, non la fermano, anzi. Il 9 gennaio del 1960 entra a far parte del Movimento 14 di Giugno, un gruppo politico clandestino, diretto da suo marito Manolo. In seguito, vi si uniranno anche la giovane Maria Teresa e la sorella maggiore Patria coi rispettivi mariti. Da quel momento in poi, Minerva e le sorelle saranno chiamate col nome in codice Las Mariposas, le farfalle. È il 1960, Trujillo è al potere da quasi trenta anni, ma qualcosa sta per cambiare.

Nello stesso anno, il movimento antitrujillista viene scoperto dalla polizia segreta, il SIM (Servico de Inteligencia Militar), e i suoi componenti vengono perseguiti e incarcerati, tra cui le sorelle Mirabal coi loro rispettivi mariti: Pedro Gonzalez Cruz (marito di Patricia), Leandro Guzman (marito di Maria Teresa) e Manolo Tavárez Justo. Già precedentemente incarcerate, la seconda volta le sorelle vengono inizialmente condannate a cinque anni di lavori forzati ma, a causa della cattiva reputazione internazionale di Trujillo dopo l’attentato al presidente venezuelano Betancourt, vengono rilasciate e messe agli arresti domiciliari, mentre i loro mariti continuano ad essere tenuti prigionieri e torturati.

È il 25 novembre 1960, quando Minerva e Maria Teresa, accompagnate dalla sorella Patria (anche se suo marito è rinchiuso in un altro carcere) e dall’autista, decidono di far visita ai mariti Manolo e Leandro, trasferiti nel carcere della città di Puerto Plata. L’auto viene fermata dalla polizia segreta militare di Trujillo e le tre sorelle con l’autista vengono fatte scendere e trasportate in una piantagione di canna da zucchero, dove vengono torturate, seviziate e uccise a bastonate. Con l’intento di simulare un incidente, Trujillo ordina ai suoi agenti di rimettere i loro corpi nel veicolo sul quale viaggiavano e farlo successivamente precipitare da un dirupo. Il dittatore crede, con la morte delle sorelle Mirabal, di aver estirpato il problema alla radice. Non sa, però, che i semi lasciati dalle tre rivoluzionarie sono stati ben piantati in profondità ed hanno iniziato a germogliare. In molti, dopo la loro morte, ne raccoglieranno poi i frutti.

Il popolo, infatti, non crede si tratti di un incidente. L’assassinio delle tre sorelle risveglia le coscienze assopite, le scuote dal loro torpore e porta a galla l’indignazione e la rabbia, che conducono nel 1961 all’assassinio di Trujillo e, in seguito, alla fine della dittatura.

Il seme della libertà piantato dalle tre farfalle continua così a vivere.

Come farfalle in un giardino: i semi della libertà

Non solo eroine e rivoluzionarie, ma anche donne e madri che, in nome di un ideale, hanno sacrificato tutto, pur di concedere ai loro figli e a chi sarebbe venuto dopo di loro la possibilità di un mondo migliore. Un ideale tanto fragile quanto potente, capace di risvegliare gli animi e muovere all’azione. Ma tutto questo non sarebbe stato possibile senza l’esempio di queste tre meravigliose donne.

Vi è una quarta donna, anche lei esemplare, poiché ha continuato a far vivere il ricordo delle sue sorelle. Non impegnatasi attivamente nella causa antitrujillista e, per questo, salvatasi, Bélgica Adela Mirabal, detta Dedé, lungo tutta la sua vita ha provato un forte rimorso per essere sopravvissuta alle sue sorelle. La sua intera esistenza è stata dedicata al ricordo delle sorelle e alla cura dei sei nipoti orfani. Dedé si è infatti occupata dei figli delle sorelle: Nelson, Noris e Raul, figli di Patria; Minou e Manuelito, figli di Minerva; Jaqueline, figlia di Maria Teresa.

«Sopravvissi per raccontare la loro vita», è quanto si è poi riproposta Dedé, dandosi il compito di custodire e tramandare la memoria delle sorelle. Nel marzo 1999 ha infatti pubblicato un libro di memorie “Vivas in su jardin”, dedicato alle sorelle.

Bélgica Adela è morta di cause naturali nel 2014.

Il 25 novembre: una data per ricordare (una volta l’anno)

Il 25 novembre è stata istituita, in molti paesi, la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Le origini di tale istituzione risalgono al 1980, durante il primo Incontro Internazionale Femminista in Colombia, quando la Repubblica Dominicana propose questa data in onore delle tre sorelle Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal.

In seguito, il 17 dicembre 1999 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò la risoluzione 54/134, con cui scelse la data del 25 novembre per la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, in ricordo dell’esempio delle sorelle Mirabal.

Una giornata per ricordare. Un giornata per riflettere (forse). Una giornata per essere grati. Una giornata, in tutto l’anno. Ci ritroviamo ad essere paladini di battaglie combattute da altri solo una volta l’anno, nella giornata in cui si è scelto di celebrarla, mentre altri hanno lottato per quella causa per una vita intera. Ci ritroviamo ad esporre e propinare valori, di cui, forse, non abbiamo la reale percezione, mentre altri hanno dato la vita per quegli ideali, i quali oggi, ai nostri occhi, sembrano quasi scontati.

Non solo il 25 novembre, ma ogni singolo giorno occorrerebbe ricordare che la libertà, in ogni sua forma – di pensiero, di opinione, di espressione – e che i diritti di ogni essere umano – di donne, uomini, bambini, disabili – sono e devono essere un bene inalienabile. Se oggi molti di noi sono qui ed hanno libertà, possibilità e diritti che ci sembrano scontati e naturali, occorrerebbe ricordare a noi stessi che tutto questo è stato reso possibile grazie a battaglie che noi non abbiamo combattuto, a sacrifici e rinunce che non abbiamo dovuto compiere e al sangue che non abbiamo dovuto versare.

 

 

 

Maria Rita Balletta
Maria Rita Balletta
Studentessa di Giornalismo ed Editoria presso l'Università di Roma Tre. Appassionata di Cultura, Ambiente e Sport.
RELATED ARTICLES

Most Popular

Recent Comments

Ads Blocker Image Powered by Code Help Pro

Ads Blocker rilevato!!!

Abbiamo rilevato che stai utilizzando estensioni per bloccare gli annunci. Sostienici disabilitando il blocco degli annunci.

Powered By
Best Wordpress Adblock Detecting Plugin | CHP Adblock
error: IL CONTENUTO È PROTETTO