All’alba del Terzo Millennio sembra assurdo sentir parlare ancora di censura, anche e soprattutto perché il mondo proviene da un secolo, il Novecento, che di censura e libertà negate ne ha viste non poche. Eppure, è esattamente ciò che sta accadendo in seno alle vicende che vedono la Russia responsabile del conflitto in Ucraina e alla conseguente percezione, da parte dell’Occidente, che porta ad identificare il responsabile di tutto questo, ovvero Putin, con la cultura russa. La guerra, per antonomasia l’emblema della limitazione della libertà individuale, finisce col demonizzare e, di conseguenza, far condannare, anche la cultura e l’arte, che vengono identificate come un tutt’uno col paese invasore.
È ciò che è accaduto al povero Fëdor Michajlovič Dostoevskij, illustre romanziere russo morto nel lontano 1849. Grande amante e studioso delle opere di questo maestro della letteratura russa, il professor Paolo Nori si è visto cancellare il proprio corso su Dostoevskij da parte dell’Università Bicocca di Milano, presso la quale avrebbe dovuto tenerlo, con il pretesto di “evitare ogni forma di polemica dato il momento di forte tensione attuale”. Ora, oltre al triste paradosso per il quale si è tentato di censurare l’opera di un autore condannato a morte proprio per aver letto qualcosa di proibito, Nori pone in rilievo l’insensatezza della vicenda: «Non solo essere un russo vivente è una colpa oggi in Italia, ma lo è anche essere morto, Ciò che sta succedendo in Ucraina è una cosa orribile, ma parte di quello che sta accadendo di conseguenza in Italia è ridicolo».
Viene da chiedersi quanto, sul piano effettivo delle vicende in svolgimento, queste sanzioni di stampo morale indirizzate al mondo della cultura e dell’arte russa contribuiscano alla causa ucraina. In pratica, nulla. La censura intellettuale e artistica nuoce solo agli studenti e agli amanti della cultura, ma non intacca Putin e non indebolisce la sua folle causa. Getta solo l’ennesima macchia sulla storia dell’Occidente “democratico e liberale”.
Anche i luoghi di cultura si muovono su fronti discordanti. Vi è chi, come l’Hermitage di Amsterdam, ha adottato una linea di pensiero “anti-russa”, interrompendo i rapporti con la sua sede principale a San Pietroburgo e annullando la mostra sull’avanguardia russa, inaugurata solo di recente. «In considerazione dell’invasione russa dell’Ucraina, la relazione non è più sostenibile. Con l’invasione dell’esercito russo in Ucraina, una linea è stata superata» ha affermato il museo di Amsterdam.
Mentre in una posizione nettamente discordante rispetto a quella presa dall’Hermitage si pone, invece, il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, contrario ad ogni forma di marginalizzazione dell’arte e della cultura russa. «Sono assolutamente assurde e controproducenti richieste come abbattere statue di autori russi, non mandare per punizione opere in Russia per dieci anni, oppure chiudere il museo delle icone russe di Palazzo Pitti. Al contrario, qui alle Gallerie degli Uffizi valorizziamo le testimonianze dei contatti culturali e pacifici nella speranza di poterli riprendere in futuro. La cultura deve essere la prima ad attivarsi ancora prima dell’economia. E speriamo che le tante grida per la pace che si innalzano da ogni parte del mondo abbiano effetto. Nel giorno stesso in cui sono iniziate azioni di guerra il museo ha subito pubblicato sui social l’immagine delle Conseguenze della guerra di Paul Rubens uno dei capolavori contro la guerra, quello più potente di cui noi siamo custodi» ha dichiarato il direttore, a margine della presentazione della donazione agli Uffizi di un dipinto del pittore seicentesco Bartolomeo Salvestrini.