Quotidianamente si parla di sostenibilità. Vantaggi, svantaggi. Compostabile o biodegradabile. Spesso è difficile distinguere questi concetti soprattutto per la vecchia generazione cresciuta secondo la logica dell’usa e getta.
Dunque, facciamo chiarezza. In Europa, a regolare l’impiego di termini come “compostabile” o “biodegradabile” ci pensa la direttiva sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggi (94/62/CE), che definisce quali requisiti un pack debba avere per essere considerato tale. Al suo interno sono presenti tutte le normative che ne ampliano requisiti, ad esempio distinguendo gli imballaggi recuperabili da quelli che non lo sono. In Italia, questo compito è svolto dalla normativa EN 13432, che ha una struttura di autovalutazione per permettere ai marchi di determinare se i requisiti siano stati soddisfatti.
BIODEGRADABILE:
La biodegradazione è fortemente influenzata dalla natura chimica del materiale che si deve biodegradare e dall’ambiente di biodegradazione. Avviene in natura, come parte del ciclo della vita incentrato sul carbonio.
Quando si parla di biodegradabilità si intende la capacità di un oggetto di dissolversi negli elementi chimici che lo compongono mediante l’attività enzimatica di microorganismi, ma anche grazie all’azione di agenti come acqua e sole , tornando a far parte dell’ambiente.
Ogni prodotto è biodegradabile, ciò che fa la differenza è il tempo, o la velocità con cui un prodotto riesce a disintegrarsi: la degradazione aerobica (ovvero quella che avviene in presenza di ossigeno) deve durare al massimo sei mesi. In questo periodo di tempo, la percentuale di biodegradazione del materiale deve raggiungere almeno il 90 per cento.
COMPOSTABILE:
Quando parliamo di prodotti compostabili ci riferiamo a quei prodotti che possono essere smaltiti con i rifiuti organici (nella raccolta dell’umido per intenderci) e recuperati negli impianti di compostaggio.
Per essere definito “compostabile” un pack deve anzitutto esserlo nella sua interezza, tutti i suoi componenti devono poter essere trattati come tali. Se solo alcune parti sono compostabili, devono poter essere facilmente separate manualmente da quelle non compostabili.
Per essere considerato compostabile, il materiale deve biodegradarsi insieme ai rifiuti organici entro tre mesi. A livello domestico, è quindi fondamentale che sia conferito correttamente nella raccolta dell’umido. A livello industriale, il compostaggio è alimentato sia da rifiuti domestici che da rifiuti delle lavorazioni agricole e di altri settori ed è praticato in impianti appositi che garantiscono la corretta gestione del processo. Inoltre, alla fine dei tre mesi, il compost viene passato con un setaccio di 2 mm: tutti i residui del materiale di prova con dimensioni maggiori di 2 mm sono considerati non disintegrati. Se questa frazione è superiore al 10 per cento della massa iniziale non si può considerare compostabile.
Pertanto, tutti i prodotti compostabili sono biodegradabili, ma non è vero il contrario.
RICICLABILE
“Riciclabile” vuol dire che un oggetto può avere una seconda vita, al pari della prima. I prodotti che possono essere riciclati, ossia possono essere sottomessi a processi fisiochimici e/o meccanici che li trasformino in una nuova materia prima o prodotto una volta terminato il loro ciclo di vita.
Il riciclo permette la reimmissione di un materiale nel ciclo di produzione, riducendo quanto più possibile l’uso di materie prime di neo-produzione. Lo scopo, quindi, è quindi quello di limitare la produzione di rifiuti, senza considerare inoltre che le risorse energetiche destinate al riciclo di sostanze possono essere anche nettamente inferiori a quelle necessarie per la creazione di materiali vergini.
«Nel caso della carta, si tratta di fibre vegetali che si feltrano tra loro. La seconda vita della carta o di un prodotto dipende sia dalla sua qualità iniziale, che dall’uso che ne vogliamo fare. Se si tratta di carta inchiostrata, l’ideale è riciclarla per farne carta da imballaggio, che non richieda processi troppo aggressivi. Per togliere l’inchiostro bisogna infatti usare l’acqua ossigenata o usare il cloro, con un impatto più alto per l’ambiente. Nel caso di carte che richiedono una altissima performance, come quelle per packaging speciali, non è possibile utilizzare fibra riciclata, ma la parola chiave è “riciclabilità”». spiega Chiara Medioli Fedrigoni, Chief Sustainability & Communication Officer del Gruppo Fedrigoni come riportato sul Corriere della Sera.
Un packaging è riciclabile quando può essere lavorato in maniera efficace ed efficiente per consentire il riutilizzo delle sue fibre cellulosiche attraverso le tecnologie di produzione della carta attualmente più diffuse.
I vantaggi della riciclabilità sono rilevanti. Un prodotto riciclato ha già emesso la maggior parte della CO2 necessaria per la sua produzione.