Niente statuetta per “È stata la mano di Dio”, l’Oscar come miglior film straniero è stato assegnato a Drive my car del giapponese Ryusuke Hamaguchi, come da pronostico.
Paolo Sorrentino aveva raggiunto il Red Carpet accompagnato da sua moglie Daniela D’Antonio, da Luisa Ranieri e dal protagonista del film Filippo Scotti. Subito dopo le candidature lo stesso regista aveva sottolineato la “convivenza” difficile del suo film con Drive My Car, definendolo un capolavoro.
Paolo Sorrentino che l’Oscar l’aveva vinto nel 2014 con La Grande Bellezza, è tornato ad Hollywood con il suo film più intimo e, qualcosa da raccontare, ce l’aveva eccome. Non avrà vinto il più ambito dei premi, ma È stata la mano di Dio resterà comunque nella storia del cinema (e nei nostri cuori) e vi spieghiamo perché.
La scena, ormai diventata iconica nel mondo, che ritrae Fabietto (Filippo Scotti) discutere animatamente con il regista Capuano (Ciro Capano) è tra le più emozionanti che il cinema italiano abbia mai contemplato. La naturalezza, l’asprezza e l’intensità di quelle parole, di quel tono, di quel dialetto, l’hanno resa chiave dello scrigno dove sono racchiusi i sentimenti più intimi di Paolo Sorrentino, da cui ha preso vita “È stata la mano di Dio”. Il film è sbarcato su Netflix il 15 dicembre, dopo un’uscita limitata nelle sale che ha fatto registrare un record di incassi (7 milioni di euro – secondo Ansa, visto che per la policy di Netflix non esistono dati ufficiali Cinetel). Presentato in concorso alla 78. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, dove ha vinto il Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria, il Premio Marcello Mastroianni per il protagonista Filippo Scotti e due premi Pasinetti del SNGCI, per il miglior film a Paolo Sorrentino e la migliore attrice a Teresa Saponangelo. Oltre alla candidatura all’Oscar come migliore film straniero, la pellicola è stata candidata ai Golden Globe e agli European Film Award.
La passione di Sorrentino per Diego Armando Maradona è ben nota, tant’è che il regista gli dedicò l’Oscar ricevuto nel 2021 per La Grande Bellezza. Il titolo è piuttosto evocativo con il chiaro riferimento al goal di mano che il Pibe de Oro realizzò contro l’Inghilterra ai Mondiali del 1086. Ma definirlo un film su Maradona, come in molti scrissero prima dell’uscita, è stato un azzardo. Paolo Sorrentino si è dimostrato ancora una volta fuorviante: Diego Armando Maradona fa da sfondo alla storia del regista, dove, ovviamente, c’è sempre stato spazio per il calcio e per il suo interprete più autorevole.
Sorrentino attraverso la sua storia omaggia Napoli, scandendo tutto il suo dolore. Dietro La Mano di Dio c’è un racconto intimo, sincero, che lascia poco spazio ai manierismi, mettendo in risalto tutta la bravura della Napoli del cinema e del teatro con interpreti sopraffini come Tony Servillo, Renato Carpentieri, Ciro Capano Luisa Ranieri, Teresa Saponangelo, fino ad arrivare ai giovanissimi Filippo Scotti e Biagio Manna.
Tra Fabietto (Filippo Scotti) e Armando (Biagio Manna) scocca la più improbabile delle amicizie. Un rapporto unico, ricco di sfumature e di spunti di riflessione. La diversità può unire eccome, può influenzare e, al tempo stesso, può insegnare, sotto tutti i punti di vista.
Nel film c’è spazio per la veracità partenopea manifestata attraverso il dialetto, le parolacce (Vero, sign.ra Gentile?). Il binomio tra tragedia e commedia funziona perfettamente, permettendo allo spettatore di divertirsi ed emozionarsi con la medesima intensità. Tutti noi possiamo rivederci in un ragazzo con un sogno nato per caso, perché è vero, la realtà stanca, stanca tutti. Ma in pochi hanno il coraggio di salire su quel treno, e diventare Paolo Sorrentino. Regista che negli anni ci ha regalato una realtà nuova, della quale non riusciamo più a fare a meno.
Tutto questo, resterà indelebile nella storia del cinema mondiale, con o senza un Premio Oscar.