Il dibattito politico in Occidente continua ad essere dominato dalle possibili sanzioni da infliggere alla Russia come conseguenza dell’invasione subita dall’Ucraina. La discussione sull’efficacia delle sanzioni imposte, in particolare dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, viene alimentata soprattutto dalle terribili notizie che arrivano dal fronte ucraino. Se da un lato le stime del Fondo Monetario Internazionale, e della Banca centrale russa, indicano che la Russia affronterà una recessione dovuta ad un crollo del PIL dell’8.5%, dall’altro pare che la valuta russa, il rublo, non abbia particolarmente risentito delle sanzioni occidentali.
Secondo le stime di diversi analisti, il motivo principale per cui il rublo ha attutito, se non totalmente recuperato, il crollo subito a fine febbraio, è dovuto all’ingente quantità di denaro che l’UE versa alla Russia per il pagamento dei combustibili fossili: petrolio, gas e carbone. La stima più accreditata e più citata, anche dai parlamentari europei, è quella del CREA, Centre for research on energy and clean air, secondo la quale l’Unione Europea paga quotidianamente circa 850 milioni di euro alla Federazione Russa.
Una possibile soluzione è stata offerta dal nostro Primo Ministro Mario Draghi: un price cap al prezzo del gas russo. In sostanza, secondo Draghi, l’Unione Europea è un mercato irrinunciabile per la Russia, che esporta il 74% del gas naturale prodotto proprio verso l’UE. Imporre un tetto al prezzo del gas vorrebbe dire costringere i paesi esportatori, e la Russia in particolare, a scegliere se vendere o meno il proprio gas al prezzo massimo stabilito dall’Unione Europea.
Draghi ne ha discusso anche con Mark Rutte, primo ministro olandese, durante la visita di quest’ultimo a Palazzo Chigi il 7 aprile. Il premier olandese si è mostrato ancora scettico ma disponibile a discutere della proposta del nostro Primo Ministro.
Draghi ha rilanciato, ancora, la sua proposta in un’intervista al Corriere della Sera, durante la quale ha detto che “imporre un tetto al prezzo del gas russo, come proposto dall’Italia, è un modo per rafforzare le sanzioni e al tempo stesso minimizzare i costi per noi che le imponiamo. Non vogliamo più dipendere dal gas russo, perché la dipendenza economica non deve diventare sudditanza politica”.
Questa soluzione sembra trovare sempre più sostenitori in Europa, soprattutto per via dell’avversione di alcuni governi europei nei confronti di un possibile pacchetto di sanzioni che vada a colpire gli idrocarburi russi. I paesi in prima linea nell’osteggiare questo discusso pacchetto sono l’Ungheria di Viktor Orban, fresco di rielezione alla presidenza, e la Germania del cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz.
Se da un lato non è un mistero che Orban sia particolarmente legato alla Russia, e al suo “amico” Vladimir Putin, le posizioni ambigue del governo tedesco cominciano a suscitare malumori sia nell’Unione Europea, sia all’interno della coalizione di governo di Scholf – la cosiddetta “coalizione semaforo”, composta da socialdemocratici, liberaldemocratici e verdi.
La Germania è uno dei paesi europei che più dipende dalle importazioni di gas russo, e i cui cancellieri, prima Angela Merkel e ora Scholz, sono stati apertamente criticati per la politica di apertura verso la Russia, l’Ostpolitik, soprattutto sul piano energetico. Attualmente il 55% del gas tedesco è importato dalla Federazione Russa, e c’era in progetto l’aumento della dipendenza energetica tedesca come effetto della costruzione del gasdotto Nord Stream 2, bloccata poco prima dell’inizio del conflitto ucraino.
Scholz si è espresso contrariamente anche riguardo la proposta di Mario Draghi, attirandosi nuove critiche soprattutto in patria. Il quotidiano tedesco Bild ha pubblicato un articolo molto duro sul cancelliere tedesco, reo di aver rimosso anche le forniture di armi pesanti dalla lista di aiuti all’Ucraina.