venerdì, Novembre 22, 2024
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NRA e Secondo Emendamento: perché il tema delle armi negli Stati Uniti è così divisivo

Ancora.
Ancora.
Ancora.
Scorrono lacrime.
La rabbia, una profonda e pervasiva rabbia, usura il corpo e l’anima.
Sapevamo che ci sarebbe stato un “ancora”, ma il dolore non è mai attenuato dal presagio.
C’è così tanto da dire. E nient’altro da dire.

Dan Rather, icononico giornalista statunitense della CBS, originario del Texas, ha utilizzato queste parole per aprire il nuovo appuntamento della sua newsletter Steady.

Rather faceva riferimento alla strage avvenuta poche ore prima ad Uvalde, in Texas, dove almeno diciannove bambini e due insegnanti hanno perso la vita a causa della furia omicida di un ragazzo appena diciottenne, Salvador Ramos.

Il presidente Biden, nelle ore successive alla tragedia, ha rivolto un commosso appello alla nazione. Prima di lui, anche le precedenti amministrazioni guidate da Trump, Obama, Bush figlio, Clinton, Bush padre, Reagan, e via dicendo, avevano dovuto fare appelli in diretta televisiva alla nazione, seguentemente ad una sparatoria di massa.

Un ciclo perpetuo. Qualche squilibrato armato di un fucile semi-automatico, tipicamente un AR-15, decide di barricarsi in una scuola, o di sparare sulla folla ad un concerto, o di entrare in un supermercato e uccidere indiscriminatamente afroamericani, ispanici, asiatici. E, al solito, nelle ore seguenti i presidenti di quella che si presume essere la più grande democrazia del pianeta, alzano le cornette dei telefoni dei propri uffici per offrire le proprie condoglianze alle famiglie distrutte dalle inspiegabili, insensate perdite dei propri affetti.

Thoughts and prayers, pensieri e preghiere, la formula, utilizzata da politici e burocrati per esprimere le proprie condoglianze, è diventata ormai un cliché.

L’ennesima strage conseguenza della strenua difesa del Secondo Emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti, quello di cui, da circa cinquant’anni, la NRA, Nation Rifle Association, la più potente lobby delle armi americana, associa alla difesa dei diritti sanciti dai Padri Fondatori.

«Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una ben organizzata milizia, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto.»

La difesa di un emendamento scritto nel 1791, e interpretrato alla lettera ai lobbisti della NRA, è, con tutta probabilità, la causa principale delle continue e insensate tragedie che da decenni sentiamo raccontare dalla stampa statunitense.

Ma la National Rifle Association è davvero così potente? Oppure gli statunitensi sono dei fanatici delle armi? O forse c’è un problema collettivo di salute mentale? Le ragioni sono molteplici e complesse da inquadrare.

Perché negli Stati Uniti si verificano così tante sparatorie di massa?

In un editoriale del New York Times del 2017, i due giornalisti Max Fisher e Josh Keller, tentarono di rispondere a questa domanda, nei giorni seguenti a quella che fu un’ennesima tragedia.

Fisher e Keller, analizzando diversi dati, giunsero ad una risposta per certi versi scontata. È l’enorme numero di armi posseduto dagli statunitensi a rappresentare il fattore principale per cui negli Stati Uniti si verificano così tante sparatorie di massa.

Gli americani rappresentavano il 4.4% della popolazione mondiale, nel 2017, eppure possedevano il 42% delle armi in giro per il mondo.

Negli Stati Uniti, secondo gli ultimi dati disponibili, ci sono più armi che persone. 393 milioni contro 329 milioni. 120 armi ogni 100 persone. Il paese con il più alto dato di possesso di armi dopo gli Stati Uniti è lo Yemen, dove è ancora in corso una guerra civile: 53 armi ogni 100 persone, meno della metà del dato statunitense.

Grafico del New York Times del 2017: sull’asse orizzontale il numero di armi ogni 100 persone (ora aumentato negli Stati Uniti a 120 ogni 100 persone); sull’asse verticale il numero di persone autrici di sparatorie di massa ogni 100 milioni di persone

Se la salute mentale fosse un fattore rilevante, i dati dovrebbero mostrare una maggiore incidenza dei problemi legati a patologie mentali nella popolazione statunitense. Al contrario, i numeri sono perfettamente in linea con quelli degli altri paesi sviluppati. Inoltre, secondo uno studio pubblicato nel 2015 dal professore Adam Lankford dell’Università dell’Alabama, solo il 4% delle morti associate alle armi da fuoco sono attribuibili a problemi legati a patologie mentali.

Se il problema fosse legato ad una maggiore propensione alla violenza degli statunitensi, i dati dovrebbero mostrare un numero superiore di crimini negli Stati Uniti rispetto agli altri paesi sviluppati. Anche stavolta, non è così. Il crimine americano è semplicemente più letale. Un newyorkese ha sostanzialmente le stesse probabilità di essere derubato di un londinese, ad esempio, ma è 54 volte più probabile che venga ucciso durante la rapina.

La discrepanza, dunque, non può che derivare dalle politiche così lascive riguardo il possesso di armi.

Negli Stati Uniti, tuttavia, per motivi legati ad un non ben comprensibile, per noi europei, attaccamento al possesso di armi, o al diritto di autodifesa, frutto della storica diffidenza nei confronti del governo centrale, il fulcro del problema assume una connotazione opposta. Il numero così alto di sparatorie di massa è un argomento a favore del diritto degli statunitensi a difendersi dagli squilibrati che potrebbero causarle.

Solo in tre stati al mondo – Stati Uniti, Messico e Guatemala – le persone hanno un diritto innato al possesso di armi da fuoco. Altrove, bisogna guadagnarselo.

Com’è possibile che le amministrazioni americane non siano mai riuscite a porre un argine al problema, semplicemente introducendo dei limiti alla vendita di armi?

National Rifle Association: la matrice di ogni problema?

Facendo riferimento al ciclo perpetuo citato nelle prime righe di questo articolo, ogni qual volta negli Stati Uniti ha luogo una sparatoria di massa, le responsabilità vengono individuate nell’intensa attività di lobbying della NRA, la Nation Rifle Association, che da sempre sostiene il diritto degli americani ad armarsi, sancito dal Secondo Emendamento.

La NRA fu fondata a New York nel 1871, ed era poco più di un’associazione sportiva che raccoglieva entusiasti di pistole e fucili. La natura e gli obiettivi della NRA cambiarono radicalmente nel 1977, quando Harlon Carter ne divenne il capo e sancì quello che sarebbe stato nei 45 anni successivi l’obiettivo primario dell’associazione: svolgere un’intensa attività coercitoria nei confronti dei politici statunitensi per permettere l’approvazione di leggi maggiormente permissive riguardo il possesso di armi da fuoco.

Il 1980 sancì lo step definitivo che avrebbe consacrato la NRA nell’olimpo delle associazioni lobbistiche più influenti nella politica statunitense: l’endorsement all’allora candidato repubblicano alla presidenza Ronald Reagan. Dal 1980 le armi, negli Stati Uniti, sono diventate un argomento di divisione politica oltre che di profonda differenza identitaria.

Trump, Reagan and the NRA's radical agenda (Opinion) | CNN
Ronald Reagan durante un congresso della National Rifle Association

La NRA divenne estremamente influente. Un endorsement dall’associazione poteva significare la buona riuscita o meno di una campagna elettorale, e sia candidati democratici che repubblicani facevano carte false per ottenere buone valutazioni nel sistema di rating della NRA.

Avere un punteggio basso nel sistema di rating voleva dire, per i candidati statunitensi, doversi preparare ad un’intensa ed avversa campagna da parte dell’associazione, che con ogni probabilità avrebbe sostenuto il candidato rivale.

Sul sito della NRA, ancora oggi, è possibile leggere una breve descrizione dei criteri di assegnazione del punteggio ai candidati.

«Il Political Victory Fund, fondo politico di vittoria, della NRA classifica i candidati politici – indipendentemente dalla propria affiliazione partitica – basandosi sul registro dei voti, sulle dichiarazioni pubbliche e sulle risposte al questionario della NRA.»

I voti sono attribuiti sulla base, ovviamente, delle posizioni dei candidati riguardo il possesso di armi da fuoco e vanno dalla F alla A+. La NRA definisce un candidato meritevole di una A come un “candidato fortemente pro-armi, con un comprovato sostegno alle questioni legate al Secondo Emendamento”. Al contrario, chi riceve una F è un “candidato anti-armi, che si oppone sempre ai diritti dei possessori di armi”.

Negli ultimi anni, comunque, l’influenza della NRA sulle campagne politiche ha perso di efficacia. Il bilancio dell’associazione è in profondo rosso, e un endorsement, attualmente, non coincide necessariamente con una vittoria scontata da parte del candidato sostenuto dalla lobby.

Ranking NRA dei candidati alle primarie repubblicane per la carica di governatore della Georgia, il 24 maggio. L’associazione ha offerto il suo endorsement a Brian Kemp, governatore uscente, sebbene anche il suo principale sfidante, David Perdue, avesse un ottimo punteggio.

Le policy sulle armi come fattore di polarizzazione: i forti legami della NRA col Partito Repubblicano

La forza dell’attività di lobbying esercitata dai primi anni ’80 all’inizio degli anni 2000 dalla NRA aveva scoraggiato qualsiasi tentativo, da parte dei candidati democratici, di contrastare o di porsi di traverso rispetto agli obiettivi dell’associazione.

Non era raro leggere di candidati appartenenti al Partito Democratico che ottenessero un punteggio alto nel ranking NRA. Tuttavia, nel secondo decennio degli anni 2000 c’è stata una netta inversione di tendenza, accelerata soprattutto dalle politiche restrittive proposte dall’amministrazione Obama.

Grafico di The Trace che riporta il ranking NRA dei candidati democratici e repubblicani al Congresso e al Senato statunitensi

Come effetto della forte polarizzazione che ha coinvolto il sistema bipartitico statunitense, anche il controllo delle armi è diventata una questione fortemente identitaria. Nel 2020, un solo candidato democratico ha ottenuto una A nel ranking della National Rifle Association.

Nelle campagne presidenziali del 2016 e del 2020 la NRA ha offerto il suo endorsement all’ex presidente repubblicano Donald Trump, finanziando direttamente la sua campagna contro Hillary Clinton e l’attuale presidente Joe Biden.

Nel 2016, la NRA ha speso più di 50 milioni di dollari per supportare Trump e numerosi altri candidati repubblicani al Senato, risultando una componente per diversi aspetti decisiva nella vittoria dell’ex presidente repubblicano oltre che dei futuri senatori del GOP, il Grand Old Party.

Nel 2020, l’associazione ha speso 4.2 milioni direttamente in supporto del presidente uscente Donald Trump e, in aggiunta, 12.2 milioni di dollari in opposizione al candidato democratico Joe Biden, acquistando spazi pubblicitari con l’intento di deleggittimare la candidatura dell’attuale presidente americano.

Tuttavia, il potere economico e politico della lobby delle armi pare stia vertiginosamente calando negli ultimi anni.

Secondo i dati raccolti dall’organizzazione non profit OpenSecrets, e forniti dalla NRA, nel 2020 l’associazione si è classificata alla 270esima posizione su 7689 organizzazioni lobbistiche in contributi forniti alle campagne elettorali dei politici statunitensi.

Per di più, i membri iscritti alla NRA non sono aumentati negli ultimi 8 anni e secondo alcuni documenti finanziari trapelati alla stampa, i guadagni dell’associazione sono calati di più di 80 milioni di dollari tra il 2016 e il 2020.

Grafico di Bloomberg che mostra il drastico calo dei ricavi della NRA

Il gruppo ha anche fallito nel suo tentativo di dichiarare bancarotta e ha rischiato la dissoluzione, seguentemente alle accuse di corruzione presentate dal procuratore generale di New York contro l’attuale amministratore delegato Wayne LaPierre.

Nonostante ciò, i politici democratici non sono in grado di introdurre le politiche restrittive che vorrebbero riguardo il possesso di armi. Perché?

L’impianto ideologico della NRA è ormai saldo: qualche dato

Nonostante il potere economico della National Rifle Association sia fortemente calato, negli ultimi anni, non si può dire che il gruppo non riesca ad esercitare una forte pressione politica.

I lobbisti appartenenti alla NRA sono fortemente specializzati. La grande capacità di mobilitazione dei propri membri fa della lobby delle armi uno dei gruppi maggiormente capaci, nella destra statunitense, di influenzare l’approvazione o meno di leggi da parte del Congresso.

Il potere della NRA, tuttavia, non risiede esclusivamente nelle capacità dei suoi lobbisti o nei suoi soldi. La NRA è potente perché 5 milioni di americani hanno deciso di diventarne membri, e questi 5 milioni di americani sono fortemente disposti a finanziare l’associazione affinché preservi il proprio “innato” diritto a possedere una pistola, o un fucile semi-automatico.

Nel 2021, cinque stati americani hanno approvato leggi maggiormente permissive sulle armi, incluso il Texas del governatore Greg Abbott, dove ieri ha avuto luogo la terribile strage di Uvalde.

Eppure, la maggioranza degli americani attualmente è a favore di un maggiore controllo sulle armi da fuoco.

Secondo una ricerca condotta dal Pew Research Center, un think tank statunitense con sede a Washington, nel 2021 circa la metà degli americani, il 48%, considerava la violenza armata come un grande problema del proprio paese. Il dato, però, non è distribuito omogeneamente nella popolazione. Come scritto qualche riga più su, la questione del possesso di armi da fuoco ha una connotazione fortemente identitaria negli Stati Uniti (lo stesso vale per quasi ogni altro grande tema: l’aborto, per dirne uno).

Il 78% degli afroamericani sostiene che l’ondata di violenza provocata dalle armi sia un grande problema per il proprio paese, contro il 42% dei bianchi. E le differenze, oltre che etniche, sono anche e soprattutto partitiche. Lo stesso sondaggio evidenzia una disproporzione nella percezione del problema tra democratici e repubblicani: rispettivamente il 73% e il 18% sostengono di essere preoccupati riguardo la gestione del tema, una forbice di 55 punti percentuali.

A line graph showing that Black adults are consistently more likely than Hispanic and White adults to see gun violence and violent crime as major national problems

È disproporzionatamente più probabile per un afroamericano essere vittima di un crimine d’odio, secondo i dati raccolti dal Federal Bureu of Investigation, la FBI. Più di un terzo, il 35%, degli 8263 episodi criminali identificati dalla FBI come crimini d’odio nel 2020 hanno coinvolto la popolazione afroamericana che, tuttavia, rappresenta solo il 12% della demografia statunitense.

Per di più, dal 2017 in poi i sostenitori del Partito Repubblicano sono diventati sempre meno propensi all’introduzione di un bando alla vendita dei fucili d’assalto. Le differenze sono accentuate anche da un’altra discriminante: il possesso o meno di un’arma da fuoco.

Il 23% dei repubblicani possessori di armi sostiene un bando alla vendita dei fucili d’assalto, contro il 51% dei repubblicani non possessori di armi. Nel Partito Democratico invece il tema raccoglie un supporto più ampio, sebbene siano fortemente visibili le differenze tra chi possiede o meno un’arma: il 65% contro l’87%.

Per i parlamentari statunitensi, dunque, è impresa estremamente ardua legiferare, per via degli impianti saldamente identitari dei propri partiti. La minoranza della popolazione ha un peso specifico, riguardo il tema, ampiamente superiore a quanto dovrebbe, perché per i sostenitori delle armi supportare politiche che ne impediscano un bando è di vitale importanza.

La cruda e devastante verità è che le ultime sparatorie negli Stati Uniti erano ampiamente preventivabili.

Dopo ogni incidente, si compiangono i morti e si simpatizza con le vittime, ma il generale immobilismo della politica impedisce di compiere passi fondamentali per ridurre la vulnerabilità della popolazione.

Non esistono soluzioni perfette per gli statunitensi. Il Secondo Emendamento è un vincolo estremamente solido, così come il sistema politico polarizzato o il potere della lobby delle armi. Non è chiaro come si possano trovare soluzioni al problema. Una cosa è certa: sarà un processo lungo, incerto e decisamente in salita.

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