Dal 15 giugno Italia Viva dovrebbe dare inizio alla raccolta firme per abolire il reddito di cittadinanza.
In un post sui social del 24 maggio Matteo Renzi, leader di Italia Viva, ha scritto: «Vogliamo abolire il reddito di cittadinanza e come previsto dalla legge dal 15 giugno partirà la raccolta ufficiale di firme. Ma vogliamo soprattutto cambiare il mondo del lavoro per i più giovani». Servirebbero almeno 500 mila firme da consegnare alla Corte di Cassazione non oltre il 30 settembre.
L’articolo 75 della Costituzione italiana stabilisce che un referendum popolare può essere indetto «per deliberare l’abrogazione, totale o parziale» di una legge. La richiesta deve essere sottoscritta da almeno 500 mila elettori o, in alternativa, da almeno cinque Consigli regionali. Il funzionamento specifico dei referendum è poi definito dalla legge n. 352 del 25 maggio 1970.
I promotori, dopo aver comunicato formalmente il quesito alla Corte di Cassazione, iniziano a raccogliere le 500 mila firme utili alla presentazione della richiesta referendaria. Tutte le firme devono essere raccolte entro 90 giorni dalla comunicazione alla cancelleria della Corte di Cassazione. Una volta raggiunta la soglia minima, le firme validate vengono consegnate alla Corte di Cassazione in un periodo compreso tra il 1 gennaio e il 30 settembre.
Non è dunque chiaro se la raccolta firme promossa da Matteo Renzi possa ritenersi o meno valida ai fini dell’approvazione del quesito referendario. Infatti, secondo l’articolo 31 della legge n. 352 del 25 maggio 1970, non è possibile depositare una richiesta di referendum «nell’anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere e nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali per l’elezione di una delle Camere medesime».
La scadenza naturale dell’attuale legislatura è prevista per il 23 marzo 2023, cinque anni dopo il suo inizio ufficiale. Da quella data, salvo uno scioglimento anticipato del Parlamento, si procederà a regolari elezioni politiche. Sembra quindi che nel 2022 non sarà possibile presentare proposte di referendum, e dunque nemmeno l’annessa raccolta firme, come invece sostenuto da Renzi.
Il reddito di cittadinanza fu approvato a metà gennaio 2019 dal primo governo Conte, il governo di coalizione tra il Movimento 5 Stelle e la Lega. Fin da allora, la misura ha rappresentato uno dei principali terreni di scontro politico tra i partiti: particolarmente vessata da quelli di centrodestra, Fratelli d’Italia e Italia Viva in primis; esaltata da quelli da centrosinistra, in particolare il Movimento 5 Stelle.
Il reddito di cittadinanza è, sostanzialmente, un sostegno economico ad integrazione dei redditi familiari pensato per aiutare le famiglie che si trovano in difficoltà economica. Non è universale e perenne, ma temporaneo, vincolato alla partecipazione delle persone che lo ricevono a un percorso di inserimento lavorativo o alla sottoscrizione di un patto di inclusione sociale, mentre alcune persone, come i pensionati o i disabili, lo possono ricevere senza nessuna condizionalità. Da aprile 2019 l’assegno previsto dal reddito di cittadinanza viene destinato solo ai cittadini italiani o a chi risiede in Italia da almeno 10 anni. Per ottenere il sostegno, le persone che lo chiedono devono rispettare una serie di parametri economici tra cui un ISEE inferiore a 9.360 euro. L’ISEE è un indicatore che accerta lo stato economico di una famiglia: comprende non solo il reddito complessivo annuo, ma anche rendite e beni di proprietà.
Sia sostenitori che oppositori del reddito di cittadinanza hanno spesso strumentalizzato i dati che dovrebbero dimostrarne successo o fallimento, per motivi soprattutto politici ma anche perché risulta essere impresa particolarmente ardua stimare l’impatto diretto che il reddito di cittadinanza ha avuto sul mondo del lavoro, soprattutto per via dei dati confusionari e frammentari che vengono pubblicati dagli enti governativi.
Si può affermare senza particolare timore di essere smentiti che, ad oggi, il reddito di cittadinanza si è dimostrato un’efficace misura di sostegno per le fasce più povere della popolazione, ma che, d’altra parte, abbia sostanzialmente fallito come strumento di attivazione del mercato del lavoro.
Secondo i dati pubblicati dall’Osservatorio Statistico dell’INPS il 9 maggio, sono 1.387.454 i nuclei familiari che nel periodo compreso tra gennaio e aprile hanno percepito almeno una mensilità del reddito di cittadinanza. Le persone coinvolte sono state 3.207.977, ricordando che è possibile effettuare una sola richiesta per ogni nucleo familiare.
Le discrepanze tra nord e sud del nostro paese sono più che evidenti. In Campania il Reddito o la Pensione di Cittadinanza riguardano il 12% della popolazione, in Sicilia l’11,4% e in Calabria il 9,8%. All’opposto, invece, ci sono il Trentino Alto Adige con lo 0,6%, il Veneto con l’1% e la Valle d’Aosta con l’1,1%.