La Russia ha mancato una scadenza per il pagamento degli interessi di titoli di stato emessi in valuta straniera, e dovrebbe quindi trovarsi in una situazione di default sul debito estero per la prima volta in oltre un secolo.
L’ultima volta fu dopo la Rivoluzione bolscevica, quando il leader sovietico Vladimir Lenin si rifiutò di ripagare i debiti internazionali del vecchio impero degli zar.
La scadenza per il pagamento dei 100 milioni di dollari di interessi per due bond denominati in dollari era fissata per il 27 maggio, con un periodo di tolleranza, il cosiddetto “periodo di grazia”, di trenta giorni, scaduto a sua volta domenica 26 giugno.
Una dichiarazione formale di default dovrebbe arrivare dai detentori delle obbligazioni, dato che le agenzie di rating, che normalmente annunciano i default, sono impossibilitate a farlo per via delle sanzioni occidentali imposte alla Federazione Russa, che impediscono alle agenzie di effettuare comunicazioni riguardo la Russia. La Credit Derivatives Determinations Committee, un organo istituzionale composto da gruppi di investitori che regola le norme riguardo il pagamento dei titoli legati ai default, non ha ancora ricevuto alcuna comunicazione legata alla situazione russa.
A quanto pare, comunque, i pagamenti non sono stati ancora effettuati, come invece stabilito dai contratti dei bond. Lunedì, il ministro degli Esteri russo Anton Siluanov ha dichiarato alla stampa che la Russia avrebbe effettuato i pagamenti a maggio e che sarebbero stati trasferiti ad Euroclear, una società belga di servizi finanziari specializzata nel regolamento delle transazioni in titoli, per poi essere bloccati, non potendo dunque raggiungere i detentori dei bond.
La Russia sta dunque rigettando la dichiarazione di default, sulla base del fatto che avrebbe tentato di pagare i propri debiti. Dmitri Peskov, il portavoce del Cremlino, ha commentato la situazione definendola «assolutamente illegale».
«Il fatto che Euroclear abbia trattenuto questi soldi, non trasferendoli ai destinatari, non è un nostro problema. In altre parole, non c’è alcun presupposto per definire la situazione attuale come un default», ha dichiarato Peskov.
Il rischio di default era emerso già a fine febbraio, dopo che l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia aveva determinato l’imposizione di sanzioni da parte dell’Occidente, con l’intento di tagliare fuori la Russia dai mercati internazionali. Fino a fine maggio, il paese era ancora in grado di pagare grazie ad alcune esenzioni concesse dall’amministrazione americana, che però sono state eliminate definitivamente proprio in prossimità della scadenza degli interessi da 100 milioni di dollari.
Quello avvenuto domenica, comunque, è un default inusuale, non determinato dalla carenza di fondi da parte del governo russo ma dal risultato delle sanzioni economiche occidentali che hanno bloccato le transazioni dalla Russia. Dopo mesi di guerra, le finanze russe sono ancora relativamente in salute, con circa 600 miliardi di dollari in valuta straniera e riserve auree, anche se la metà di esse sono bloccate dalle sanzioni. D’altra parte, la Russia continua a ricevere un flusso costante di denaro derivante dalle vendite di petrolio e gas, principalmente all’Unione Europea, che dall’inizio del conflitto ha versato oltre 64 miliardi di euro per l’acquisto di idrocarburi alla Russia, secondo quanto riportato dall’organizzazione indipendente CREA.
Per la Russia, comunque, fare default rappresenterebbe un’ulteriore macchia sulla reputazione dello stato che potrebbe probabilmente persistere nella memoria degli investitori, specie se il paese a un certo punto dovesse tornare a cercare di rifinanziarsi sui mercati.
Diversamente da quanto avvenuto per Grecia e Argentina, altri paesi andati incontro a default nella storia recente, l’impatto economico e finanziario di quello russo sui mercati internazionali e sul bilancio della Russia dovrebbe essere relativamente piccolo. La Russia, infatti, ha già perso accesso agli investitori internazionali per effetto delle sanzioni occidentali, generalmente la conseguenza peggiore di un default.