La riunione della NATO conclusasi giovedì a Madrid è stata una delle più importanti della storia dell’alleanza fondata nel 1949.
L’invasione della Russia ai danni dell’Ucraina ha determinato un profondo sconvolgimento nell’ambito della sicurezza del continente europeo, oltre ad aver dato un nuovo ruolo di centralità alla NATO, un’organizzazione definita «cerebralmente morta» dal presidente francese Emmanuel Macron in una celebre intervista all’Economist del 2019. I timori di Macron riguardavano soprattutto la politica di isolazionismo portata avanti dall’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che minacciava la stabilità dell’alleanza e dell’Unione Europea.
Trump aveva dimostrato fin dai primi mesi del suo mandato di voler distanziare la sua amministrazione dalle tradizionali alleanze in vigore in Occidente, sulla base, principalmente, del mancato raggiungimento da parte di un buon numero di stati europei del target imposto dagli accordi tra i paesi della NATO del 2% del prodotto interno lordo da destinare alle spese militari.
Da allora, per merito o per colpa soprattutto del presidente russo Vladimir Putin, molte cose sono cambiate. Molti degli stati facenti parte della NATO hanno annunciato un aumento delle spese militari. La Germania, uno stato tendenzialmente pacifista da quando è emerso dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale, ha annunciato un investimento massivo nelle forze armate, così come un piano per smarcarsi dalla profonda dipendenza dagli idrocarburi russi.
Finlandia e Svezia, due stati storicamente neutrali, hanno annunciato la propria decisione di unirsi alla NATO, frutto di un cambiamento radicale nella percezione della minaccia costituita dalla Russia da parte dell’opinione pubblica.
Nel summit di Madrid sono state affrontate diverse questioni di carattere politico e militare e prese numerose decisioni che segneranno il futuro dell’Alleanza Atlantica per i prossimi decenni. Il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha definito il nuovo atteggiamento dell’alleanza come «la più grande riorganizzazione della nostra capacità di difesa e deterrenza dal periodo della Guerra Fredda».
Andiamo ad analizzare i passaggi chiave.
La Turchia toglie il veto all’ingresso di Finlandia e Svezia nella NATO
La notizia maggiormente inaspettata, ma soprattutto la più importante, è stata la decisione della Turchia di rimuovere il proprio veto all’ingresso di Finlandia e Svezia nella NATO. La Turchia, come tutti i 30 stati membri dell’alleanza, ha il potere di veto riguardo l’ammissione di nuovi membri e l’aveva esercitato subito dopo l’annuncio da parte dei due stati nordici di voler aderire alla NATO. Il dissenso della Turchia era dovuto al presunto supporto, da parte soprattutto della Svezia, al PKK, il partito dei lavoratori curdi, un’organizzazione considerata terroristica dall’Unione Europea, dagli Stati Uniti e dalla Turchia.
Il memorandum trilaterale composto da dieci punti firmato dai ministri degli Esteri di Finlandia, Svezia e Turchia è stato accolto con soddisfazione dalle parti, ma diversi commentatori hanno definito eccessive le concessioni offerte alla Turchia, soprattutto riguardo le deportazioni dei rifugiati politici curdi.
L’ottavo punto del memorandum è sicuramente quello maggiormente controverso ed include un impegno da parte di Svezia e Finlandia nell’«affrontare le richieste pendenti della Turchia di deportazioni ed esportazioni di sospetti terroristi, tempestivamente e scrupolosamente». Il linguaggio, sebbene evidentemente vago, ha irritato la comunità curda presente in Svezia, così come i partiti di sinistra svedesi già precedentemente contrari all’adesione del proprio paese alla NATO.
Il primo ministro svedese Magdalena Andersson ha tentato di sminuire le implicazioni degli impegni presi nei confronti della Turchia e, rivolgendosi alle persone coinvolte ed evidentemente preoccupate, ha detto «se non siete coinvolte in attività di terrorismo, non avete di che preoccuparvi».
Mercoledì i leader della NATO hanno invitato formalmente Finlandia e Svezia ad aderire all’alleanza. Dovranno essere però i rappresentati dei parlamenti dei 30 stati facenti parte della NATO a ratificarne l’ingresso effettivo, e secondo diversi commentatori, non è detto che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan non tenti di strappare nuove concessioni.
Il rafforzamento del fianco est della NATO
Dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel 2014, che determinò l’annessione illegale della Crimea e il conflitto, definito “a bassa intensità”, nel Donbas, la NATO stabilì quattro battlegroup (gruppi di battaglia composti da forze multinazionali di difesa) nei Paesi Baltici – Estonia, Lettonia e Lituania – e in Polonia. La presenza di questi gruppi non era pensata per fermare un’eventuale invasione da parte della Russia ma per garantire che l’alleanza potesse intervenire nel momento in cui la Russia avesse attaccato i militari della NATO presenti in quella regione, attivando l’articolo 5 dell’alleanza riguardante la difesa collettiva.
Nel summit di Madrid si è deciso il posizionamento di altri quattro battlegroup, con la funzione di “cavo d’innesco”, in Bulgaria, Ungheria, Romania e Slovacchia. L’intero concetto, comunque, di “cavo d’innesco” è stato ribaltato, sostituendolo con una filosofia di difesa avanzata riconducibile all’approccio utilizzato dai paesi occidentali durante la Guerra Fredda. Dunque, piuttosto che assorbire i colpi russi per poi contrattaccare, la nuova strategia dell’alleanza prevede di fermare un’eventuale invasione ancor prima che avvenga.
Il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha dunque annunciato il dispiegamento di un numero consistente di forze addizionali sul fianco est della NATO – quello confinante con la Russia che va dall’Estonia, a nord, alla Bulgaria, a sud. I battlegroup saranno rafforzati, divenendo delle brigate, formazioni militari più ampie da circa 3.000 uomini.
La maggior parte di queste truppe, comunque, non sarà di stanza nei paesi di confine ma resterà pronta ad intervenire rapidamente in caso di eventuali emergenze. Una situazione di questo tipo vede coinvolte Germania e Lituania: il ministro degli esteri lituano Gabrielius Landsbergis ha detto all’Economist che la Germania ha acconsentito al dispiegamento di una propria brigata nel paese baltico. Tuttavia, secondo gli ufficiali tedeschi, la maggior parte degli uomini dell’unità resterà di stanza in Germania svolgendo solo alcune esercitazioni in Lituania, determinando, di fatto, pochi cambiamenti rispetto allo scenario precedente.
Il cambiamento più significativo riguarda la NATO Response Force, una forza composta da porzioni degli eserciti di tutti i paesi dell’alleanza, disponibili a rotazione. Secondo quanto affermato da Stoltenberg, la NATO Response Force passerà da 40.000 a 300.000 uomini, poco meno del numero totale delle forze armate italiane.
Come riportato dal magazine POLITICO.eu, l’annuncio di Stoltenberg ha colto di sorpresa la gran parte delle autorità e dei diplomatici presenti a Madrid. Non è chiaro, infatti, come il numero sia stato calcolato e quali forze militari saranno coinvolte. Pare, inoltre, che il numero di truppe annunciate da Stoltenberg faccia comunque già parte delle forze a disposizione della NATO, e che l’annuncio riguardi quelle disponibili con un avviso di 15 giorni.
Il Washington Post ha inoltre sentito un alto funzionario della difesa di un paese europeo che ha affermato di non essere stato consultato riguardo il dispiegamento di ulteriori truppe sul fianco est della NATO. Il funzionario si è detto dubbioso riguardo il numero delle forze militari del proprio paese riportate nel conteggio del segretario Stoltenberg.
L’Italia assumerà il comando del battlegroup in Bulgaria, come affermato dal Presidente del Consiglio Mario Draghi. I soldati italiani inviati in rinforzo saranno in totale 2.000, mentre altri 8.000 rimarranno in Italia come parte della NATO Response Force.
Gli Stati Uniti, infine, stabiliranno un nuovo quartier generale in Polonia: una manovra che per lungo tempo il presidente russo Vladimir Putin aveva tentato di ostacolare.
Il nuovo Strategic Concept
Durante il summit di Madrid è stato redatto il nuovo Strategic Concept, un documento programmatico che indica le linee guida sulle strategie e il futuro dell’Alleanza. Le differenze con l’ultimo Strategic Concept, pubblicato nel 2010, sono più che evidenti: la Russia era stata definita un «partner strategico» e la Cina non era in alcun modo menzionata. Nel documento pubblicato ieri la Russia viene definita «la più significativa e diretta minaccia» agli alleati e la possibilità di un attacco russo non viene esclusa, sottolineando inoltre come la Cina stia sfidando «gli interessi, la sicurezza e i valori» della NATO, spesso in accordo con il Cremlino.
Il punto numero 13 del nuovo Strategic Concept racchiude il cambiamento maggiormente politico nel nuovo approccio della NATO: «le ambizioni dichiarate della Repubblica Popolare Cinese e le sue politiche coercitive sono una sfida ai nostri interessi, alla nostra sicurezza e ai nostri valori». È la prima volta, come sottolineato dalla giornalista del Foglio Giulia Pompili, che l’Alleanza cita la Cina come uno dei problemi per la sicurezza globale.
Secondo gli alleati la Cina «impiega un’ampia gamma di strumenti politici, economici e militari per aumentare la sua impronta globale e proiettare la sua potenza, pur rimanendo poco trasparente sulla sua strategia, sulle sue intenzioni e sul suo sviluppo militare». Non più, dunque, un’alleanza con lo scopo della pura difesa della geografia territoriale, sebbene il presidente degli Stati Uniti Joe Biden abbia ricordato ieri, durante il suo intervento a Madrid, che la NATO è pronta «a difendere ogni centimetro di territorio». La Cina è una minaccia per le sue «operazioni ibride e cibernetiche malevole», «per la sua retorica conflittuale e la sua disinformazione», e per il suo tentativo di utilizzare il proprio controllo in alcuni settori tecnologici ed industriali in maniera coercitiva.
Secondo gli alleati, dunque, il patto tra autrocazie di Russia e Cina mette a forte rischio gli equilibri globali. Un cambiamento di postura epocale.