Torna il Festival delle Ville Vesuviane che sarà in programma dal 2 al 25 settembre nelle splendide Ville Vesuviane del XVIII secolo. Ad inaugurare la rassegna sarà una prima assoluta nazionale: “La vita è un sogno” di Pedro Calderon de la Barca, con Mariano Rigillo per la regia di Giuseppe Dipasquale, direttore artistico del FVV 2022 nonché regista e commediografo italiano e già direttore artistico del Must Musco Teatro di Catania e del teatro Stabile di Catania e attualmente direttore artistico del BarbablùFest, Morgantina. Giunto alla sua trentatreesima edizione, il Festival è promosso dalla Fondazione Ente Ville Vesuviane, presieduta da Gianluca Del Mastro. L’evento è programmato e finanziato dalla Regione Campania, Scabec SpA con fondi Poc Campania 2014-2020 e dal Ministero della Cultura. Anche quest’anno il tema sarà “Progetto Settecento”, un format ripristinato dal direttore artistico della scorsa edizione, Luca De Fusco, che ha ripreso un filo conduttore che caratterizzò il Festival dalla metà degli anni’80, per valorizzare il patrimonio architettonico delle ville del Miglio d’Oro. Quattro saranno le prime assolute nazionali che debutteranno durante la kermesse, oltre a “La vita è un sogno” ci saranno in programma: Raffaello Converso in “L’Opera da marciapiede tra Kurt Viviani e Raffaele Weill” con elaborazioni ed orchestrazioni di Roberto De Simone; “Così è (se vi pare)” di Luigi Pirandello con Eros Pagni e regia di Luca De Fusco; “Caro Pier Paolo” di Dacia Maraini con Anna Teresa Rossini.
Note della direzione artistica: “Il tema di quest’anno del Festival, che si innesta sul solco lasciato dal suo fondatore Luca De Fusco, si può riassumere nel sintagma del sogno delle diversità. Fare Teatro significa consegnare allo spettatore una visione. Una visione del mondo, una visione della vita, una visione della realtà, ovvero, in uno, una visione della Natura. Poiché l’arte del teatro, se arte è, è disperatamente umana. Essa viaggia attraverso il corpo e la voce dell’attore, che sono strumenti dell’anima. L’anima è la spugna del disagio, come il pozzo della gioia e del dolore. Il nostro compito è al servizio degli uomini. Siamo impegnati, come fossimo, per dirla con Lear, le spie di Dio, a mostrare agli altri come si può gioire e impazzire di dolore in un dato momento, in una data occasione, ma anche come l’inganno, frutto della coscienza applicata ad una azione perversa, può generare ragione e luce per risvegliare dal sonno oscuro delle umane mostruosità. Degli uomini contemporanei e viventi, gli attori, sono costretti a vestire i panni di personaggi immaginati o addirittura scritti in un’epoca differente. Cosa è possibile raccontare di loro? Come un uomo del ‘700 è narrabile in teatro attraverso il gesto contemporaneo di un attore? E cosa imitiamo col teatro? Una realtà siffatta in quanto modello di vita o la sua azione? Di un’epoca da rappresentare ci basta ispirarci e imitare l’arte figurativa del periodo in questione per avere un risultato credibile, o ricercare nel contemporaneo anche un processo eterno che si replica di secolo in secolo? L’affermazione di Amleto che l’arte è lo specchio della natura ha del vero. Tuttavia credo che lo specchio non riflette, o non assume in sé l’immagine pedissequa della realtà di fronte alla quale si pone, poiché esso è strumento per nulla catalogabile all’interno delle cosiddette scienze esatte. Il teatro non può determinare una riproduzione perfetta della realtà, anzi semmai prende le distanze dalla realtà che vuole che sia guardata, in un certo senso difformandola. Il teatro mette in moto un processo che si pone in contraddizione con l’azione reale per esaltarne l’ineludibile imprendibilità. La società verso cui si rivolge oggi l’azione teatrale è una società che si può definire anaffettiva, e noi ne siamo parte. Per far questo oggi è necessario assumere un paradosso come azione trasversale di fruizione teatrale: destare l’attenzione sulla vita attraverso l’uso strumentale del sogno, della visione. Il confine tra vita e teatro è tanto labile come il confine tra il sogno e la realtà. Dove l’una entra nell’altro in un continuo travaso interpretativo. La vita entra nel sogno per riformularsi simbolicamente in immagini che servono alla vita. Ecco perché rischia di essere improprio considerare oggi il teatro solo come specchio della natura se non lo si intende come un edificio magico capace di costruire di sogni. In questo senso la scelta di autori e artisti musicali e di danza contemporanea come Calderon de La Barca, e Pirandello, Maraini, Pasolini, Buttafuoco, De Simone, Di Sivo, Di Capua, Noone, Bigonzetti, Merola ci aiuteranno a raccontare il senso di un contemporaneo che interroga il sogno e la visione. Poiché nonostante tutto sembri sulla scena sogno, anzi, proprio per questa ragione, solo la coerente responsabilità umana nelle azioni della vita può dare un significato non effimero all’esistenza.” Giuseppe Dipasquale
“Il Festival costituisce una grande occasione, non solo per la Fondazione Ente Ville Vesuviane, ma per tutto il territorio, attraverso la diffusione del messaggio di arte e di cultura che promana dalla nostra meravigliosa terra. Il numero e l’importanza degli eventi che vengono prodotti nelle Ville del Miglio d’Oro aumenta di anno in anno, segno della rinascita di tutta l’area”. Gianluca Del Mastro Presidente Fondazione Ente Ville Vesuviane
“Un festival di tradizione e uno dei più longevi della nostra Regione: la 33esima edizione quest’anno. Un Festival multidisciplinare con spettacoli di teatro, danza, musica di grande qualità e suggestione. È il festival delle Ville Vesuviane- Progetto ‘700: ispirato al secolo dell’illuminismo napoletano nel quale è sorto il Miglio d’Oro. È un mezzo per raccontare la storia di questi luoghi, farne rivivere l’essenza e sorprendere lo spettatore unendo il fascino delle performance artistiche alla struggente bellezza delle Ville Vesuviane del XVIII secolo.” Roberto Chianese Direttore generale Fondazione Ente Ville Vesuviane.