La compagnia Nest approda al Teatro Sala Assoli con IL BERRETTO A SONAGLI ‘a nomme ‘e Dio, in scena dal 24 al 26 febbraio.
La compagnia Nest affronta per la prima volta Pirandello e sceglie Il Berretto a Sonagli, nella versione del 1917, scritta dall’autore agrigentino in dialetto siciliano. La storia è quella di Beatrice, una moglie tradita e fermamente decisa a tendere una trappola al marito per coglierlo in flagrante con l’amante, a sua volta sposata, perché vuole giustizia, il divorzio e gli alimenti. I familiari tentano di dissuaderla, perché non si devono mettere in piazza gli affari propri, piuttosto si deve fare finta di niente. È di questa opinione anche il marito dell’amante, lo scrivano/filosofo Ciampa: l’uomo, benché tradito, non ne vuole sapere di passare per cornuto. Da qui, una serie di eventi e colpi di scena, che vedranno i clandestini colti in flagrante, ma tutti intorno a Beatrice pronti a negare l’evidenza, in nome del perbenismo dominante. Con un approccio originale e fortemente identitario, la Compagnia Nest parte dal testo in siciliano e lo riscrive in napoletano, esaltando con la forza del dialetto tutta la cattiveria, l’odio e lo scherno di questa storia di ordinaria inumanità. In scena, nell’allestimento firmato da Giuseppe Miale di Mauro, troviamo due attori storici della compagnia, Giuseppe Gaudino e Adriano Pantaleo, accompagnati da Mario Cangiano e Valentina Acca.
«Proveremo a dare una lettura individuale al testo pirandelliano, – spiega il regista — da qui la scelta di raccontare la storia del berretto a sonagli mettendo al centro della vicenda Beatrice, una rivoluzionaria femminista ante litteram che prova a scardinare con la sua battaglia l’immobilismo della società e la visione maschilista e ipocrita del rapporto uomo – donna. Questa idea nasce anche dal forte impatto misogino del testo pirandelliano, in cui c’è un annullamento del ruolo della donna che in questa versione sarà enfatizzato dalla presenza di una sola attrice messa in mezzo da un manipolo di uomini (a volte travestiti da donne) che la vesseranno fino a consigliarle la pazzia come unica via d’uscita.”
Il pensiero di Pirandello
“Il Teatro non è archeologia. Il non rimettere le mani nelle opere antiche, per aggiornarle e renderle adatte a nuovo spettacolo, significa incuria, non già scrupolo degno di rispetto. Il Teatro vuole questi rimaneggiamenti, e se n’è giovato incessantemente, in tutte le epoche ch’era più vivo. Il testo resta integro per chi se lo vorrà rileggere in casa, per sua cultura; chi vorrà divertircisi, andrà a teatro, dove gli sarà rappresentato mondo di tutte le parti vizze, rinnovato nelle espressioni non più correnti, riadattato ai gusti dell’oggi. E perché questo è legittimo? Perché l’opera d’arte, in teatro, non è più il lavoro di uno scrittore, che si può sempre del resto in altro modo salvaguardare, ma un atto di vita da creare, momento per momento, sulla scena, col concorso del pubblico, che deve bearsene.”
(Luigi Pirandello, in Storia del teatro italiano, a cura di Silvio d’Amico, 1936)