“Piano Piano”, la favola nera di Nicola Prosatore in una Napoli che esiste, ma non si vede
Siamo nel 1987 e Napoli sta per stringere tra le mani, finalmente, il primo scudetto. Anna è una principessa, nei modi di fare e di affrontare gli abitanti del castello che, come nelle peggiori favole nere, è un palazzo antico di un quartiere periferico che rischia di essere raso al suolo per far spazio alla modernità. La principessa si ritrova a fare i conti con la smania di crescere e di voler essere parte integrante di quel contesto, che non riesci a scrollarti di dosso con delle lezioni di pianoforte.
Antonia Truppo co-firma lo script e veste i panni di Susy, una madre spesso invadente che lotta affinché la figlia possa raggiungere vette da lei inesplorate. La Napoli criminale è solo uno sfondo, dove i personaggi interpretati da Massimiliano Caiazzo, Giuseppe Pirozzi, cercano di assecondare il volere dello spietato (ma non troppo) Don Gennaro, interpretato da Lello Arena.
Questa è una storia semplice, fatta di prime volte, di incertezze, di paure. Nicola Prosatore si sofferma molto sugli sguardi silenziosi, lasciando trapelare tutto ciò che si nasconde dietro la spavalderia, la fretta di diventare grandi, ottenendo un’empatia straordinaria che, scena dopo scena, racconta una Napoli che esiste, ma non si vede.
Ognuno di loro ha un conto in sospeso con il destino.
Un film che, attraverso i colori di un cinema, purtroppo, quasi dimenticato, restituisce il giusto ruolo alla favola nera che il lieto fine ce l’ha, ma non è uguale per tutti.