martedì, Aprile 15, 2025
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Muti: “Napoli ingrata con De Simone, si versano lacrime di coccodrillo”

Sono affranto e arrabbiato per la scomparsa di Roberto De Simone, un amico, un grande genio, un napoletano europeo, un intellettuale che guardava contemporaneamente alle radici colte e popolari della nostra cultura.

Sono arrabbiato perché è morto solo. Lui ha dato tanto a Napoli, Napoli non ha ricambiato. Anzi, spesso è stato trattato con ingratitudine. Ora si verseranno lacrime di coccodrillo, ma la sua scomparsa dà un colpo alla crisi della cultura partenopea proprio mentre, ironia della sorte, si celebrano i 2500 anni di storia. Mi auguro gli dedichino al più presto una strada o una piazza importanti“. Lo scrive Riccardo Muti in un intervento sul Mattino.

Con lui – dice il direttore d’orchestra – ho lavorato spesso sui più importanti palcoscenici internazionali. Memorabili il ‘Così fan tutte’ che realizzammo insieme a Vienna e portammo con successo in Giappone, e il ‘Don Giovanni’: spettacoli in cui si era fusa la tradizione dell’opera buffa del Settecento napoletano con il genio di Mozart. E memorabile un’apertura della Scala con “Nabucco” nell’86 e “Lo frate ‘nnammorato” di Pergolesi, sempre a Milano.
Lui aveva qualche anno in più di me, ma da ragazzi ci incrociavamo al San Pietro a Majella quando io studiavo con Vincenzo Vitale. Poi, negli anni Sessanta, diressi con l’Orchestra Scarlatti a Napoli alcune opere del Settecento. “La Dirindina”, un intermezzo di Domenico Scarlatti e “Chi dell’altrui si veste presto si spoglia” di Cimarosa, uno dei titoli più lunghi in cui io mi sia imbattuto nel mondo della lirica. De Simone era il giovane cembalista e naturalmente tra di noi si instaurò subito una intesa artistica e culturale che non s’è mai interrotta. A quei tempi Napoli si interessava molto della riscoperta della grande storia musicale della città, c’erano molte iniziative. E in quel contesto il genio di De Simone ha incarnato l’anima di Napoli assunta a carattere universale. Penso alla sua “Gatta Cenerentola” al legame che l’opera ha con la storia e le tradizioni popolari locali essendo contemporaneamente antica e rivoluzionaria“.

Secondo Muti “Napoli, però, è stata ingrata con lui, non gli ha mai concesso riconoscimenti, non gli ha mai dato quel teatro per costruire la scuola vocale che sognava di realizzare. Il suo spirito libero, il coraggio di non nascondere le proprie opinioni e lanciare strali ogni volta che lo riteneva opportuno, ne hanno fatto un profeta non amato in patria. Eppure De Simone ha fatto tanto anche al San Carlo e per il San Carlo. Come regista, compositore e anche come direttore artistico al fianco del sovrintendente Francesco Canessa. E al San Pietro a Majella ha contribuito in maniera determinante alla salvaguardia della biblioteca e alla catalogazione di tutti i preziosissimi manoscritti che rischiavano di andare perduti: Paisiello, Cimarosa, Vinci, Jommelli, Pergolesi, Scarlatti. La sua Napoli è una vera, grande capitale, come lo era nel Settecento quando gareggiava con Londra e Parigi. Ci mancherà“, conclude Muti.

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