Alzheimer, 4 casi su 10 potrebbero essere evitati o ritardati

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Appello associazioni: intervenire su fattori di rischio, più fondi

Roma, 1 set. (askanews) – Fino al 40% dei casi di demenza previsti a livello globale entro il 2050 potrebbero essere ritardati o addirittura evitati intervenendo sui principali fattori di rischio. È quanto emerge da una ricerca della Lancet Commission: in Italia – dove le persone con demenza oggi sono 1.480.000 – significherebbe fermare o rallentare l’insorgere di questa condizione in più di 900.000 persone, sulle oltre 2.300.000 che si stima vivranno con la demenza entro la stessa data.

In occasione dell’inizio del XII Mese Mondiale Alzheimer, Federazione Alzheimer Italia si fa quindi portavoce nel nostro Paese dell’appello che il suo partner internazionale ADI – Alzheimer’s Disease International lancia ai governi di tutto il mondo affinché finanzino urgentemente la ricerca sui principali fattori di rischio per la demenza e le strategie di contrasto alla loro diffusione, mettendo in atto piani di sensibilizzazione e di supporto per la popolazione. La disponibilità di una cura efficace per tutti è infatti ancora lontana, e il contrasto alle possibili cause rimane l’unico strumento di prevenzione che può fare la differenza.

“L’Italia, aderendo nel 2017 al Piano di azione globale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla risposta di salute pubblica alla demenza, si è impegnata a dare priorità alla riduzione del rischio”, afferma Katia Pinto, presidente della Federazione Alzheimer Italia. “Un aspetto che non è sufficientemente considerato nel nostro Piano Nazionale Demenze, che oltretutto potrebbe a breve rimanere di nuovo senza fondi: lo stanziamento economico previsto con la legge di Bilancio del 2021 si esaurirà infatti nei prossimi mesi. Per questo chiediamo con forza al Governo di garantire nuovi fondi al Piano, così da permettere di proseguire il lavoro già iniziato e implementare inoltre iniziative efficaci di prevenzione. Non è mai troppo presto e non è mai troppo tardi per ridurre il rischio di demenza”, conclude.

Sono 12 i principali fattori di rischio comprovati per la demenza: l’inattività fisica, il fumo, l’eccessivo consumo di alcol, le lesioni alla testa, i contatti sociali poco frequenti, l’obesità, l’ipertensione, il diabete, la depressione, i disturbi dell’udito, insieme a scarsi livelli di istruzione e all’esposizione all’inquinamento atmosferico. I singoli individui possono certamente attuare cambiamenti nello stile di vita per ridurre o rallentare la possibilità di sviluppare la demenza, ma sono i governi ad avere la fondamentale responsabilità di rendere la riduzione del rischio un elemento centrale dei piani nazionali per la demenza.

“L’urgenza del coinvolgimento delle istituzioni in risposta all’aumento dei casi di demenza è chiara – continua Katia Pinto – Servono campagne di sensibilizzazione e informazione, ma anche iniziative per combattere alla radice i fattori di rischio. Iniziative che possono e devono integrarsi con quelle messe in campo per raggiungere altri obiettivi che riguardano il benessere di tutta la popolazione, come la riduzione del fumo e dei tassi di obesità, la lotta all’inquinamento, la garanzia di accesso all’istruzione per tutti o la tutela della salute mentale”.

Senza dimenticare un altro fondamentale compito di governi e istituzioni, ovvero garantire a tutte le persone con demenza l’accesso alle cure e all’assistenza di cui hanno bisogno: anche un corretto supporto post diagnostico può fare la differenza per rallentare l’avanzamento della malattia.

“Investire nella riduzione del rischio è un punto chiave, in assenza di un trattamento o di una cura, per prevenire il maggior numero possibile di casi di demenza – conclude Paola Barbarino, Ceo di Alzheimer’s Disease International – Dobbiamo garantire che i cittadini in tutto il mondo siano consapevoli di quali sono le strategie attuabili, a tutte le età, e abbiano accesso alle informazioni, ai consigli e ai servizi di supporto necessari”.