La prossima settimana Geolier rappresenterà anche Napoli sul palco del teatro Ariston di Sanremo per il festival della canzone italiana. Dovrebbe essere un grande orgoglio perché Emanuele canterà il brano interamente in napoletano. Sappiamo come in Rai questa cosa non sia storicamente piaciuta.
Però, come spesso accade nella comunità partenopea, gli attacchi a chi si distingue per un merito o per una capacità, provengono dall’interno. Maurizio De Giovanni ha criticato in maniera estremamente dura il testo di Geolier: “È una lingua antica e bellissima, con la quale sono stati scritti capolavori immensi. È un patrimonio comune, ha un suono meraviglioso, unisce il maschile e il femminile come fa l’amore. Non merita questo strazio. PS. Basta chiamare qualcuno e farsi aiutare. Un po’ di umiltà”.
Se ci vogliamo attenere puramente alla forma, la critica di De Giovanni è sensata. Se invece vogliamo uscire dal mondo degli stereotipi della Napoli da cartolina e del napoletano classico scritto e parlato 40, 80 e 100 anni fa, il discorso cambia. Se vogliamo contestualizzare l’epoca attuale e il vissuto di Geolier, il discorso cambia. E nonostante venga scritto diversamente, quello usato da Emanuele è più un gergo o comunque un napoletano parlato nel quotidiano, senza fare attenzioni ad accenti, troncamenti ecc., che comunque qualsiasi partenopeo nel mondo comprende perfettamente.
È un peccato che i giorni che precedono l’esordio di Geolier sul palco del Festival di Sanremo debbano essere macchiati da questa polemica sterile che conferma come a Napoli, storicamente, e a tutti i livelli sociali, non esiste una visione compatta a sostegno di una causa, ma la solita infinita frammentazione dove ognuno cerca di far prevalere la sua ragione sulle altre.
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