venerdì, Novembre 22, 2024
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Morto in ospedale durante TSO, giudice riapre caso a Napoli

Il Tribunale civile di Napoli ha chiesto una nuova consulenza in relazione alla morte di un ragazzo di 25 anni, deceduto nel 2019 in un ospedale partenopeo, durante un trattamento sanitario obbligatorio (Tso).

Secondo i legali della famiglia del giovane, gli avvocati Amedeo Di Pietro e Alessandro Milo, il trattamento sarebbe stato praticato senza la necessaria ordinanza sindacale. Non solo. Per i due avvocati sarebbe emersa un’incompatibilità nella scelta di un consulente da parte degli inquirenti: la psichiatra nominata avrebbe per trent’anni prestato servizio nell’ASL Napoli 1 nella cui giurisdizione cade la struttura ospedaliera dove, il 9 aprile del 2019, avvenne il decesso.

Proprio quest’ultima circostanza emersa dalle indagini difensive degli avvocati Di Pietro e Milo hanno spinto il giudice Claudia Colicchio, dell’VIII sezione civile del Tribunale partenopeo, a disporre una nuova consulenza tecnica d’ufficio rinviando il processo al prossimo 26 settembre.

Il 25enne, A.F., finì in ospedale la sera del 28 marzo 2019 a causa di una “violenta crisi pantoclastica”: furono le forze dell’ordine a chiedere l’intervento del 118 che, a bordo di un’ambulanza, trasferirono il ragazzo, un paziente psichiatrico, in ospedale dove venne sedato. La mattina del giorno successivo al ricovero il 25enne fu colto da un’altra crisi: anche in quest’occasione, riferiscono gli avvocati, i sanitari somministrarono dei farmaci a cui fece seguito una terapia.

Ciononostante la sera, intorno alle 19, A.F. è vittima di una nuova crisi. Il decesso verrà rilevato dai medici alle 9.33 del 9 aprile 2019, durante la ricognizione mattutina dei pazienti. “Nella documentazione medica rilasciata agli eredi – spiegano Di Pietro e Milo – non c’è alcun documento autorizzativo per il Tso, né alcuna ordinanza sindacale, che attesti la regolarità, formale e sostanziale, della procedura che, come prescrive la legge necessita delle necessarie autorizzazioni. Circostanza peraltro – continuano i due professionisti – ammessa dalla stessa Asl nella memoria difensiva presentata”.

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