I maccheroni al sugo sono una delle ricette napoletane più note nel mondo. La loro deliziosa semplicità ha reso il loro sapore quasi leggendario, tanto che a Napoli si dice che siano stati creati con un incantesimo.
Il mago Chico
Durante il regno di Federico II, si dice che in via dei Cotillari, nel sedile di Portanuova, vi fosse una palazzina stretta e lunga i cui abitanti erano gente assai malfamata. Al primo piano abitava uno strozzino; al secondo piano una prostituta; al terzo, invece, una coppia di imbroglioni. Ma l’inquilino che più spaventava il vicinato era quello del quarto piano: un uomo con una lunga barba lunga che passava ore davanti ad un pentolone.
L’uomo si chiamava Chico e si diceva che fosse un mago. Passava il giorno rinchiuso in casa, facendo strani esperimenti davanti al fuoco con la sola compagnia del suo aiutante. Le poche volte che lo si vedeva mettere il naso fuori dalla porta era coperto di una misteriosa polvere bianca che faceva tossire chiunque gli passasse accanto.
Le vicine di casa del mago Chico cercarono in tutti i modi di capire da dove venisse e cosa facesse in casa tutto quel tempo, ma senza successo. Alcuni dicevano venisse dalla Sicilia, altri dall’oriente, ma nessuno svelò mai il mistero delle sue origini.
Chico si staccava dal fuoco e dai suoi libri solo per andare a comprare delle erbe per i suoi incantesimi: timo, maggiorana, prezzemolo, basilico e pomodori erano quelle che acquistava più di frequente.
Le voci sul suo conto si moltiplicarono nel corso degli anni: davanti al camino parlava forse col Diavolo? Era lui che uccideva gli orfani che di tanto in tanto sparivano dal quartiere per realizzare i suoi malefici? Nessuno scoprì nulla e la figura del mago divenne nell’immaginario del quartiere sempre più losca ed inquietante.
La ricerca del piatto perfetto
Ma Chico non era un mago e nemmeno un alchimista. Era invece un inventore e in passato era stato un uomo molto fortunato. Ricco grazie alle sue invenzioni, affabile e di bell’aspetto era stato baciato dalla fortuna, amato dalle donne e circondato da amici.
Ma la fortuna ad un certo punto gli voltò le spalle. La malasorte fece sì che perdesse tutto il suo denaro e i suoi palazzi. Ormai in età avanzata, smarrita anche la passata bellezza, Chico si ritrovò solo. Andò a vivere così nell’unico appartamento che potesse permettersi, quello al quarto piano della palazzina malfamata di via dei Cotillari, con le porte basse e i vetri piombati.
Decise di dedicare i suoi ultimi anni ad una nuova ricerca: voleva inventare e realizzare il piatto perfetto. Così lavorava e lavorava davanti al fuoco, con il grano, le erbe e le spezie, cercando di creare la ricetta perfetta.
Jovannella e l’assaggio del Re
Una delle vicine di casa di Chico si chiamava Giovannella Di Canzio, detta Jovanella. Era forse la più determinata a scoprire i segreti dell’uomo: la curiosità la divorava. Passava così le giornate cercando di spiare il presunto mago dalle finestre, nonostante questi le sbarrasse.
Tenta e ritenta, rischiando più volte di essere scoperta e di incorrere nell’ira di Chico, alla fine Jovannella capì che cosa l’uomo stava cercando di fare e carpì la ricetta del piatto perfetto.
La donna chiamò il marito Giacomo, che lavorava come sguattero nelle cucine del Re Federico II, e gli disse di dire al cuoco reale che lei conosceva una ricetta divina, “una pietanza di così nuova e tanto squisita fattura da meritare l’assaggio del Re“.
Giacomo fece quanto lei gli aveva detto di fare. Il cuoco parlò dunque di Jovannella e della sua ricetta a un maggiordomo, il quale ne parlò con un conte, il quale a sua volta riferì finalmente al Re. Federico II, incuriosito da tutta la vicenda, chiamò Jovanella affinché gli preparasse questa millantata delizia.
I maccheroni angelici
La donna si recò in fretta e furia al palazzo reale ed iniziò a cucinare. Mischiò farina, uova ed acqua, aggiungendo un pizzico di sale; impastò ed impastò e rese la pasta tanto sottile da sembrare poco più spessa d’una tela. Prese un coltello e la tagliò, modellandola poi in piccoli cannelli che mise al sole ad asciugare. Nel frattempo, mise in un tegame lo strutto e la cipolla tagliata nella maniera più sottile possibile e, quando questa fu soffritta, aggiunse della carne. Una volta cotta la carne nel tegame versò anche il succo di pomodoro, che aveva spremuto con uno straccio, e fece cuocere tutto a fuoco lento. Dopo qualche ora, prese una pentola e vi fece bollire dell’acqua, versandovi poi la pasta che aveva preparato. Scolò infine la pasta separandola dall’acqua, e la mischiò con il sugo e del formaggio, da lei appena grattugiato, di Parma.
Jovannella fece dunque assaggiare il piatto prelibato che Chico aveva creato a Federico II. Il Re fu piacevolmente sorpreso da quel nuovo sapore e chiese alla donna cosa l’avesse ispirata e come avesse fatto a creare quel piatto tanto buono. Jovannella mentì, raccontando d’aver visto quei maccheroni per la prima volta in sogno: nella visione un angelo le avrebbe suggerito ingredienti e cottura. Lei era solo l’esecutrice di quella celestiale ricetta.
La ricetta dei “maccheroni angelici” divenne popolarissima. Jovannella raccolse la fortuna che sarebbe dovuta spettare a Chico e, cucinandoli, divenne ricca, amata e famosa. Tutta Napoli parlava della sua ricetta celestiale, tutti la conoscevano e disquisivano riguardo il suo sapore; tutti tranne Chico, che rimaneva confinato nel suo appartamento e che continuava a cercare di perfezionare la sua ricetta.
La fuga di Chico e la morte di Jovannella
L’ignaro Chico stava un giorno facendosi i fatti propri quando sentì un profumo levarsi da una delle case delle vicine. Incuriosito, s’avvicinò e chiese cosa stesse bollendo in pentola. La vicina gli raccontò così che stava provando a cucinare i maccheroni angelici di Jovannella, che oramai erano noti in tutta la città.
Chico capì subito che si trattava della sua ricetta. Sentendosi derubato, deluso prese le proprie cose e se ne andò via da Napoli in una notte. La gente mormorava che il Diavolo alla fine se lo fosse portato via con sé negli inferi.
Jovannella ebbe una vita lunga e felice. In punto di morte rivelò infine il suo grande segreto, raccontando a tutti d’aver rubato la ricetta al povero mago Chico. Morì tra urla strazianti, dannata. In molti credettero che fosse stato Chico a maledirla; in ogni caso, di lui nessuno a Napoli seppe più nulla.
La vera storia dei maccheroni
Ma quanto c’è di vero in questa leggenda? Non sappiamo se sia davvero esistito il povero Chico. Sappiamo però che con molta probabilità la ricetta per creare la pasta venga da Palermo – ed ecco perché una delle papabili origini del mago della nostra storia era la Sicilia.
Nonostante l’origine fosse siciliana, la ricetta trovò fortuna e diffusione a Napoli. Nella città partenopea i maccheroni trovarono il loro condimento e guadagnarono tanta popolarità da diventare simbolo della città.
Il significato dei maccheroni
Non sappiamo invece precisamente da cosa derivi la parola “maccheroni”, anche se, nel corso del tempo, sono state avanzate diverse ipotesi.
La parola greca μακαρώνεια (makaronia) significa “canto funebre“. Il termine maccherone sarebbe dunque diventato sinonimo di “pasto funebre” prima, da servire cioè ai funerali, e poi di “pasto da servire“. Secondo alcuni studiosi, invece, “maccheroni” deriverebbe sempre dal termine greco da μαχαρία (macharía), “zuppa d’orzo”. Nel greco moderno il termine μάκαρ (mákar) significa “beato”.
Un’altra interpretazione è invece che il nome dei maccheroni derivi da “macco“. Il macco di fave è un piatto tipico siciliano di legumi schiacciati, “am-maccati”.
La magia della tavola
Ad ogni modo, qualsiasi cosa significhi il loro nome e da qualsiasi lingua derivi, sia che il povero Chico e la ladra Jovannella siano esistiti sia che invece siano frutto della fantasia, i maccheroni, nonostante le loro probabili origini Siciliane, sono uno dei piatti più tipici e più amati di Napoli e della Campania.
Non ci resta dunque che prepararne una porzione abbondante seguendo la ricetta della leggenda e della tradizione.
E forse possiamo anche dire che sia davvero un pasto magico, e che cucinarli sia davvero parte di un incantesimo: non è infatti una sorta di stregoneria quella di riuscire a riunirci insieme intorno ad una tavola, in famiglia o tra amici, per mangiarli insieme?
Riuscire a conservare questa convivialità, nonostante il mondo in cui ci è toccato vivere, non è in fondo magia?
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