La Procura di Napoli ha deciso di interrompere il percorso di collaborazione avviato pochi mesi fa dall’ex capoclan dei Casalesi Francesco ‘Sandokan’ Schiavone.
Gli inquirenti hanno deciso di revocare il programma di protezione cui era stato sottoposto, ritenendo che le dichiarazioni finora rilasciate da Schiavone non fossero utili. I pm anticamorra coordinati dal Procuratore Nicola Gratteri hanno poi chiesto il via libera dal Ministero della Giustizia, che ha disposto per Sandokan il ritorno alla detenzione in regime di 41 bis.
Schiavone fu arrestato nel 1998, poi condannato all’ergastolo nel maxi processo Spartacus e per diversi omicidi; prima di lui avevano deciso di pentirsi il figlio primogenito Nicola, nel 2018, quindi nel 2021 il secondo figlio Walter. Restano in carcere gli altri figli Emanuele Libero, che uscirà di cella ad agosto prossimo, e Carmine, mentre la moglie di Sandokan, Giuseppina Nappa, non è a Casal di Principe.
La notizia del pentimento di ‘Sandokan’ risale al marzo scorso. Si riteneva che le dichiarazioni del 70enne ex boss di Casal di Principe potessero servire a far luce su alcuni misteri irrisolti, come l’uccisione in Brasile nel 1988 del fondatore del clan Antonio Bardellino, o sugli intrecci tra camorra e politica. Invece gli inquirenti non hanno ravvisato elementi di novità o di interesse investigativo nei suoi racconti.
“Ha fatto bene la Procura ad agire in questo modo – spiega il deputato dell’Alleanza Verdi Sinistra Francesco Emilio Borrelli – e rispedire questo camorrista al 41 bis. I pentimenti devono essere veri e riscontrabili e non strumentali. Stop ai giochini per evitare il carcere duro“.
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