La mozzarella di bufala campana è tanto buona da essere definita divina e, secondo una leggenda che la riguarda, lo è davvero: era infatti considerata cibo per gli dei. Noi mortali non avremmo mai dovuto mangiarla, ma, per nostra fortuna, le cose sono andate diversamente…
La ninfa Baptì-Palìa
Nelle paludi di Battipaglia viveva, al tempi delle leggende e dei miti, una ninfa etrusca. Il suo nome era Baptì Palìa.
La ninfa era la custode d’un segreto: era l’unica sulla Terra a sapere come si facesse la filatura della cagliata del latte di bufala.
Baptì-Palìa ogni mattina mungeva le bufale che s’aggiravano nelle paludi di Battipaglia ed iniziava a lavorarne il latte per produrre la mozzarella, cibo destinato esclusivamente agli dei. Quando aveva finito di filare la mozzarella l’adornava di ramoscelli di spezie, di mirto e di erbe e si recava alla dimora degli dei per offrir loro quel divino pasto.
Il pastore Tusciano
Un giorno, tuttavia, la routine della ninfa venne stravolta da un incontro fatale. Baptì-Palìa vide un uomo bellissimo dormire sulla riva d’un fiume. Il suo nome era Tusciano, ed era un pastore.
Non appena i suoi occhi si posarono su di lui, la ninfa s’innamorò perdutamente di Tusciano. Gli sedette accanto e lo risvegliò accarezzandolo e ricoprendolo di baci. Anche Tusciano s’innamorò di Baptì-Palia al primo sguardo.
Il costo di un amore
La ninfa volle offrire all’innamorato un pegno del proprio amore, e così gli rivelò il modo in cui produrre la mozzarella, violando la promessa di riservare quel cibo divino solo alle bocche degli dei.
Tusciano non tenne per sé il segreto e rivelò la ricetta a tutti gli abitanti del suo villaggio, che iniziarono a produrre e mangiare la mozzarella.
Gli dei si resero presto conto che gli umani si stavano nutrendo d’un cibo che sarebbe dovuto essere solo loro e capirono che la ninfa aveva tradito il segreto. Decisero dunque di punire i due amanti: sarebbero stati destinati a vagare nelle paludi, chiamandosi disperatamente l’un l’altro, senza riuscire però a trovarsi mai.
Passarono giorni, settimane, anni, e gli anni si trasformarono in secoli; alla fine, i due amanti per incontrarsi di nuovo rinunciarono alle proprie nature. Baptì-Palìa divenne una città, l’attuale Battipaglia, mentre Tusciano divenne il fiume che tutt’oggi l’attraversa e che porta il suo nome.
La vera storia della mozzarella
La vera storia della mozzarella è assai meno romantica e suggestiva.
Le fonti ci dicono che della mozzarella si ha già traccia nel dodicesimo secolo. Si parla infatti d’un formaggio di bufala detto “mozza” offerto ai pellegrini che si recavano ogni anno al convento del Monastero di San Lorenzo in Capua. La scelta non era dettata dalla ricerca d’un gusto particolare o di una ricetta gustosa: conservare il latte era all’epoca assai difficile, e trasformarlo in formaggio aumentava il tempo in cui sarebbe stato possibile consumare l’alimento.
Il termine “mozzarella” compare invece nel 1570, in un libro del cuoco papale Bartolomeo Scappi. La popolarità di questo formaggio crebbe in maniera esponenziale fino al 1700, quando venne istituito un “registro bufalino”. In epoca borbonica la costruzione delle ferrovie permise di esportare il formaggio in tutta Italia. La denominazione “mozzarella di bufala” comparve, infine, solo 1942: precedentemente, infatti, la mozzarella vaccina non esisteva, e veniva chiamata fior di latte.
Ad oggi la mozzarella di bufala campana è un prodotto D.O.P., fatta eccezione per la “zizzona” di battipaglia, gargantuesca forma di mozzarella di bufala che pesa almeno 800 grammi e che ricorda la forma d’un seno femminile – da cui presumibilmente deriva il suo nome ed anche la leggenda che vi abbiamo raccontato poc’anzi. Il motivo della sua esclusione? Presto detto: è troppo grande e letteralmente pesante per rientrare nei canoni dei prodotti di origine protetta.
Si tratta d’una bontà fuori misura, un gusto divino apprezzato da tutti: mortali imprudenti, ninfe innamorate e persino dei vendicativi.
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