Nella meravigliosa cornice del Teatro Bellini di Napoli, martedì 26 novembre, è andata in scena la prima dell’adattamento teatrale de La coscienza di Zeno, interpretato da Alessandro Haber.
La pièce rappresenta sicuramente un’operazione complessa e ambiziosa, volta a trasporre sul palcoscenico la profondità psicologica che emerge dal romanzo di Italo Svevo. La regia di Paolo Valerio sfrutta in modo efficace una scenografia semplice ma ricca di significati simbolici. Lo spettacolo si apre con un occhio che, riflesso sul sipario, guarda la platea.
Fa poi ingresso Alessandro Haber, in un ambiente grigio, che colora per tutta la durata dello spettacolo il palcoscenico, quasi a voler sottolineare il senso di oppressione e inettitudine di Zeno.
Il protagonista, accompagnato da un ampio schermo circolare riflesso sui fondali che rispecchia l’inconscio di Zeno intriso di visioni oniriche fatte di ricordi e pensieri – inizia con un monologo originato dalla lettera del Dottor S – lo psicanalista che lo aveva invitato a scrivere le sue memorie come parte della terapia – con cui quest’ultimo aveva manifestato l’intenzione di rendere pubbliche le sue memorie dopo che aveva abbandonato le sue sedute di psicanalisi.
Zeno, intatti, crede che scavare nel passato o analizzare i propri traumi non possa portarlo a una reale guarigione. Questa sfiducia si riflette nel modo in cui racconta gli episodi della sua vita, distorcendone talvolta i fatti e, altre volte, trattandosi con indulgenza.
In maniera magistrale, in un alternanza tra un anziano e un giovane Zeno che si intercambiano, lo spettacolo riesce a condensare, in un’altalena tra la pesantezza dei pensieri del protagonista e la sua autoironia, le tematiche centrali del romanzo.
Un primo riferimento è al rapporto che Zeno ha con il fumo. Il protagonista considera ogni sigaretta come “l’ultima”, promettendosi continuamente di smettere. Questo vizio, centrale e simbolico, rappresenta l’incapacità di Zeno di controllare la propria vita, la sua debolezza e la sua perenne procrastinazione, un riflesso della sua lotta tra desiderio e senso di colpa.
Trova spazio poi la narrazione del rapporto complesso che Zeno ha con con il padre, segnato da incomprensioni e risentimenti. La scena della morte del padre, che è lasciato morente su delle sedie che all’occorrenza si trasformano in un letto, è una delle più intense. Zeno, presente al momento del trapasso, si lascia travolgere emotivamente dallo schiaffo che il genitore gli sferra involontariamente, ma che è destinato a diventare una delle cause del suo senso di inadeguatezza.
È proprio in seguito a questo evento che Cosini inizia a zoppicare, pur non essendovi una reale causa fisica che giustifichi la zoppia, che diventa così una manifestazione psicosomatica del senso di colpa e del trauma legato alla morte del padre.
Nello spettacolo trovano poi spazio gli altri personaggi che orbitano attorno alla figura di Zeno, a partire dalle tre sorelle Malfenti, con Ada, la donna amata da lui, che rappresenta il suo ideale irraggiungibile e che rifiuterà la proposta di matrimonio di Zeno, rafforzando il suo senso di fallimento.
Haber/Zeno, in maniera grottesca, convergerà quindi su Augusta, sorella di Ada, che sposerà per ripiego, convinto che non l’ami. Augusta, che pur si dimostra la moglie perfetta, comprensiva e amorevole, viene tradita da Cosini con Carla, incarnando la fuga dalla monotonia coniugale. La relazione extraconiugale, vissuta con superficialità e senso di colpa, è un altro esempio dell’incapacità di Zeno di vivere con coerenza, poiché cerca costantemente appagamento senza trovarlo.
Trova poi spazio anche il rapporto che Zeno ha con Guido Speier, il cognato e rivale in affari, che rappresenta tutto ciò che Zeno non è mai stato: determinato, sicuro di sé e ambizioso. Tuttavia, questa apparenza di successo è fragile e crolla con la sua bancarotta e il suicidio. Zeno, pur disprezzando Guido, si trova coinvolto nel suo fallimento finanziario, dal quale ironicamente esce rafforzato, vendendosi definito come il miglio uomo della famiglia. La morte di Guido, per quanto tragica, conferma a Zeno l’inutilità degli sforzi umani per trovare ordine nella vita.
Lo spettacolo si chiude con il secondo monologo di Zeno/Haber al centro del palco che, quanto mai attuale nell’odierno momento storico, riflette una visione nichilista: l’uomo moderno, in preda alla tecnologia e al caos interiore, non può trovare salvezza.
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