sabato, Novembre 23, 2024
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Il giornale del professore: il rientro

Un nuovo anno scolastico si avvia a iniziare e non poteva mancare (o forse si) la nostra rubrica satirica sul mondo mirabolante della scuola. Inauguriamo la ripresa delle cronache tragicomiche dell’universo parallelo della Pubblica Istruzione con uno scritto sul Big Bang della cultura liceale: il ritorno ovvero il rientro nelle aule.

Nostos è la parola greca arcaica che indica il viaggio di ritorno dell’eroe. Questo peregrinare è accompagnato da un sentimento di struggente malinconia per la terra natia ed è caratterizzato dalle peripezie avventurose che il guerriero deve affrontare per rivedere la patria. Nostoi era un poema epico che narrava i viaggi di ritorno degli eroi greci dopo la distruzione di Troia e il nostos più famoso è quello affrontato da Ulisse per rientrare a Itaca.

Ora si sa, il nostro non è un tempo epico e il pertinace relativismo della nostra epoca ha annientato, disarticolato, usurato gli antichi valori. La nostra è un Odissea grottesca e avviene nel quotidiano, in un giorno qualsiasi secondo Joyce. Il novello Ulisse potrebbe essere senz’altro rappresentato da un giovane studente che mitologicamente dovrà “ritornare” verso una inevitabile patria. E quale se non il ritorno a scuola è il ritorno dei ritorni, l’archetipo contemporaneo del rientro, la madre di tutte le avventure? In questa Odissea allucinata e capovolta, il giovane Ulisse ha come dei avversi i professori, come petulanti consigliere le madri, come divinità offese gli Autori (che non ha studiato). La maga Circe sarà la professoressa di matematica, che minaccia di trasformare tutti in…asini, le Sirene saranno Wikipedia e Splash Latino, i Ciclopi i collaboratori scolastici che, alla richiesta della Dirigente se tutti siano entrati, continueranno a urlare accecati “Nessuno, Nessuno”. I Proci usurpatori invece saranno quei compagni che ruberanno i banchi delle ultime file dove si copia una bellezza! Ma il novello Odisseo ce la farà anche stavolta a varcare il cancello di Ade.

Il rientro a scuola è una liturgia che si ripete da tempi immemorabili, è come il Natale o la Pasqua, come le crisi di governo o le eclissi, sempre uguale e sempre nuova allo stesso tempo. È un approdo e un inizio, un’origine e una meta. Gli esami di riparazione sono alle spalle così come la preparazione, a dire il vero quella forse ancora deve iniziare, vera idea platonica a cui sempre si tende e mai si giunge. Gli assegni per le vacanze sono stati anche quest’anno un desiderio irrealizzato dei docenti più che un compito da svolgere; tranne pochissimi iniziati nessuno li ha svolti! E allora ecco la corsa folle degli ultimi giorni a cercare conoscenze impossibili, appunti unti, compagni in odore di santità, riassunti dei riassunti in un delirio conoscitivo che trasformerà I fratelli Karamazov in migranti ucraini, Giotto in una fabbrica di pastelli, Ampere nell’elettricista sotto casa, Darwin in una marca di jeans e Hegel in un cantante tedesco della scena underground. Si salvi chi può.

E dire che l’estate era iniziata piena di buoni propositi: “mi metterò al passo, recupererò tutto, non mi ridurrò mai più così, questo che inizia sarà il mio anno migliore!”. Peccato che abbiano prevalso i falò, manco ferragosto durasse due mesi, peccato che le nottate a inseguire stelle cadenti abbiano generato vocazioni astronomiche, peccato che Instagram sia meglio della congiura di Catilina. La volontà di studiare è diventata un miraggio estivo in cui i libri hanno assunto le sembianze dei lettini e gli esercizi di ripasso quelle dei pedalò. E allora vai con giornate intere sui social che al confronto Salvini è un dilettante! Sarebbe bastato accedere a Insta per monitorare aperitivi, locali, pizze, disco, spiagge da urlo, fisici abbronzati, tarante e tarantelle che il Papeete mi fa un baffo.

Ma si sa l’estate vola e si torna. La Scuola è come l’eterno ritorno di Nietzsche: ciclica e infinita.

Solo i giovanissimi studenti del primo anno non sono preparati all’evento, all’eterno ritornare del rientro. Per loro sarà davvero un primo giorno, indelebile e poetico nella memoria futura. Saranno emozionati, timorosi, incerti, candidi. Il primo giorno in una prima è come un sogno desto: tutti gli allievi ligi, educati, sistemati nei banchi, silenti, che addirittura si alzano in piedi per salutare gli insegnanti. Basterebbe tornarci un mese dopo per dubitare che fossero indemoniati dormienti, che erano abitati da un furore detto ammuina che attendeva solo di risvegliarsi. Ma il primo giorno è il primo giorno, ed essi appaiono anime sulla via della beatitudine, allievi finlandesi in procinto di diventare geni.

I professori invece erano già “ritornati”, la loro Odissea era iniziata il primo settembre. Saluti di rito, baci mai tanti, Collegio Docenti disciplinato e sereno, Dipartimenti rapidi e sorridenti. Ma già il due settembre apparivano stanchi come reduci dalle miniere belghe, anime malinconiche con negli occhi i riflessi del mare perduto, atterriti dalla imminente trincea didattica per cui non hanno elmetti in dotazione, pervasi di saudade brasiliana per ciò che è stato troppo breve: l’estate. E giù programmazioni, schede di valutazione, schede per il recupero, esami di riparazione, esami di integrazione, organizzazioni, proposte per il PTOF (che non è una casa farmaceutica né un nuovo tipo di diagnostica). Almeno a consolarli c’è un nuovo ministro dell’istruzione, il quale ha subito annunciato che “la scuola ha bisogno di fondi” (uno statista vero, insomma!). I docenti, dal canto loro, hanno creato gruppi di preghiera perché semplicemente non faccia nulla, non sia animato da delirante spirito riformatore ma resti immobile, salvando così quel brandello di scuola che resta.

Poi ripensando alla fine di un tizio che brandiva un rosario, hanno smesso di pregare e si sono rivolti a Buddha e a Shiva, con pratiche yoga direttamente sulle cattedre.

Buon rientro, buon inizio.

W la Scuola, sempre.

A cura di Michele Salomone

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